Guido VialeClasse ’43, saggista e sociologo. Nella Torino del 1968 Guido Viale è attivo nei movimenti studenteschi, poi  entra in Lotta Continua e rimane nel direttivo del gruppo extraparlamentare fino al 1976. Per Viale gli anni di piombo «sono finiti negli anni 80». Eppure il fervore con cui parla all’indomani dell’arresto dell’amico Giorgio Pietrostefani in Francia suggerisce che qualcosa di quel periodo storico ancora sopravvive in lui. «Mi perdoni per il tono, sono un po’ incazzato», dirà a fine intervista, dopo aver commentato l’esito di Ombre Rosse, l’operazione di polizia che potrebbe significare estradizione e carcere in Italia per 10 ex-militanti della sinistra armata dopo 40 anni di vita irreprensibile oltralpe.

Come accoglie la notizia degli arresti di ieri?
L’ho accolta con rabbia, ma dandola per scontata perché era nell’aria da giorni. Per me si tratta di una manifestazione di miseria da parte della nostra classe dirigente, incapace di chiudere una fase storica e di fare i conti con la realtà. Al contrario degli arrestati, che da più di quarant’anni trascorrevano all’estero una vita irreprensibile. È inaccettabile che un ministro della Giustizia canti vittoria per aver messo fine alla stagione degli «anni di piombo» senza che un giornale faccia riferimento alla morte di Pinelli, alle stragi di Stato e a tutto ciò che ha innescato la strategia della tensione, la causa delle origini della lotta armata in Italia.

Ha senso per uno Stato chiedere la punizione per fatti avvenuti così tanto tempo fa?
La verità giudiziaria è stata appurata nei processi. Quello alla giustizia e alla verità è un diritto inalienabile dei familiari delle vittime. Altra cosa è il carcere. Ben venga se serve a prevenire il ripetersi di un reato, ma se deve essere una punizione gratuita, da impartire a distanza di 40 anni è peggio che una vendetta. Lo ribadisco: è una manifestazione di miseria.

Non è un messaggio positivo ribadire che presto o tardi la giustizia arriva?
Questa non è giustizia. Chi lo dice mente e la menzogna è di Stato se a pronunciarla sono i ministri del governo italiano. Aggiungo che il carcere non ha nulla a che vedere con la giustizia. La giustizia si amministra attraverso sentenze e processi, possibilmente svolti in maniera non improvvisata come quelli celebrati all’epoca della lotta armata in nome dell’emergenza.
Non è arrivata alcuna giustizia per tutti i fenomeni che hanno innescato la strategia della tensione. E degli anni di piombo. E non  mi riferisco ai responsabili in galera – sono passati più di 50 anni dai fatti – mi riferisco all’assenza di sentenze passate in giudicato per una decina di stragi organizzate dagli apparati dello Stato con l’aiuto dei fascisti.

Molti casi di quegli anni restano ancora aperti.
Rimangono aperte voragini. Nell’amministrazione della Giustizia e nella ricerca della verità storica. La vedova Calabresi ha dichiarato che Giorgio Pietrostefani dovrà finalmente dire la verità sull’omicidio di suo marito. Ma le è venuto in mente che è ora di sapere chi ha ucciso Pino Pinelli? Da allora si è scoperto che nei giorni in cui Pinelli è morto, 13 funzionari dell’ufficio Affari Riservati arrivarono direttamente da Roma per gestire la vicenda giudiziaria, esautorando il commissario Calabresi che non rivelerà mai questa circostanza fino alla morte. Nemmeno nel processo intentatogli dalla vedova Pinelli. È la prova che la strage di piazza Fontana fu organizzata dallo Stato e i responsabili contro cui puntare il dito erano già stati designati.

Con questi arresti si chiudono gli anni di piombo?
Non chiudono niente. Gli anni di piombo non ci sono mai stati: sono gli anni del terrore di stato e della lotta armata di una parte della sinistra estrema. Dal punto di vista fattuale, quel periodo si è concluso negli anni 80, perché da allora non si sono ripetuti episodi simili, salvo qualche caso isolato operato da qualche esaltato. Dal punto di vista della giustizia, invece, quegli anni sono stati chiusi da numerosissimi processi. Quasi tutti a carico della sinistra rivoluzionaria, pochissimi della destra, nessuno a carico dei servizi segreti di Stato che sono i veri artefici della strategia della tensione. Gli anni di piombo, se così vogliamo chiamarli, si sono chiusi allora. Gli arresti di ieri sono un altro miserabile episodio volto a rinfocolare una versione storica, secondo cui dal 1968 al 1980 l’Italia è stata preda della lotta armata di sinistra, in cui lo Stato non ha giocato alcun ruolo.

Questo atto apre a una riforma della giustizia in chiave più giustizialista?
No, non cambia assolutamente nulla. Perché nulla è cambiato negli anni, soprattutto in relazione a questi fatti. Di giustizialismo ce n’è sempre stato: nelle parole e nei fatti.

Come si spiega questa nuova intesa tra Francia e Italia? La dottrina Mitternad ha resistito per 35 anni.
La ministra Cartabia ha dichiarato di aver semplicemente chiesto il rispetto della clausola secondo cui la protezione è garantita solo a coloro che non si sono macchiati di delitti di sangue. Ma richiedere estradizioni e carcere a distanza di 40 anni è una scelta politica che conviene a entrambi. Conviene a Macron, accusato dalla destra per non aver preso misure sufficienti contro il terrorismo di matrice islamica che ha infiammato la Francia. Anche Draghi ha bisogno di coprirsi le spalle nei confronti della destra, che lo attacca per le misure di carattere economico-sanitarie che è costretto ad adottare. Questi arresti sono un osso per i suoi alleati di destra. Sono decisioni politiche che non hanno nulla a che fare con la ricerca della verità storica e della giustizia. Gi arrestati non commettono crimini da 40 anni.

La Francia repubblicana batte il carcere, ha scritto Adriano Sofri.
Ha perfettamente ragione. Se lo scopo del carcere è rieducare coloro che hanno compiuto un reato, la vita libera di cui hanno goduto in Francia è stato il miglior processo di riabilitazione. Se fossero finiti in prigione avrebbero perseverato per la stessa strada per lo meno a livello di convinzione.