A quasi sette anni dalla tragedia della valanga che il 18 gennaio 2017 ha travolto l’Hotel Rigopiano, il processo continua a essere una ferita aperta per le famiglie delle 29 vittime e per gli 11 sopravvissuti, che portano ancora i segni fisici e psicologici di quella notte. Davanti alla Corte di Cassazione, il sostituto procuratore generale Giuseppe Riccardi ha chiesto pene più severe per i responsabili della strage, in particolare per l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, e ha sollevato nuove istanze contro le assoluzioni che avevano suscitato polemiche nel primo grado di giudizio. Secondo l’accusa, prima della tragedia i «segnali d’allarme» sarebbero stati numerosi. A confermarlo ci sarebbero i bollettini meteorologici, facilmente reperibili, insieme a relazioni ufficiali e ordinanze. In particolare, come riportato da La Stampa, i bollettini meteo segnalavano la presenza di ben nove valanghe imminenti nelle vicinanze dell’hotel, la necessità di monitorare costantemente l’area e avvertivano che il territorio era stato classificato come sismico di livello 2.
Le richieste della procura – Nel corso dell’udienza, la Procura ha ribadito la richiesta di annullare sei assoluzioni che riguardano alcuni membri della Protezione civile regionale, ritenuti dai pubblici ministeri responsabili di aver gestito in modo inadeguato l’emergenza. Il caso ha avuto un importante risvolto con la decisione della Corte d’Appello dell’Aquila, che aveva emesso 8 condanne e 22 assoluzioni. In particolare, la Procura generale ha chiesto di rivedere la condanna per Francesco Provolo, ex prefetto di Pescara, che era stato ritenuto colpevole di omissione d’atti d’ufficio e falso. Provolo rischia ora di essere giudicato anche per concorso in omicidio colposo, lesioni e depistaggio, accuse che erano state precedentemente escluse.
L’incapacità di prevenire la tragedia e le condanne: la lotta per la giustizia continua – L’accusa ha inoltre sollevato dubbi sulla condotta di vari dirigenti regionali e locali, sottolineando l’incapacità di prevenire la tragedia. In particolare, la mancata realizzazione della Carta di localizzazione del pericolo valanghe, documento essenziale per la gestione del rischio in un’area montuosa come l’Abruzzo, viene considerata da Il Messaggero come il «peccato originale» di una catastrofe che avrebbe potuto essere evitata. Nel processo d’appello, le condanne erano state emesse anche per alcuni altri soggetti coinvolti: i dirigenti provinciali Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio sono stati condannati a 3 anni e 4 mesi, mentre Bruno Di Tommaso, ex gestore dell’hotel, ha ricevuto una pena di sei mesi. Condanne di 2 anni e 8 mesi sono state inflitte all’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e al tecnico comunale, Enrico Colangeli. All’esterno della Corte di Cassazione, i parenti delle vittime hanno espresso il loro dolore e la loro determinazione a vedere riconosciuti i responsabili di quella tragedia. «La nostra attesa non finisce mai, siamo una famiglia unita da un dolore che non passa», hanno dichiarato. La sentenza definitiva è attesa per stasera, 28 novembre, e con essa la speranza che la giustizia possa fare il suo corso.