L'Unità

La prima pagina del Numero Uno de ‘L’Unità’, uscita il 12 febbraio 1924 e fondato da Antonio Gramsci

Il 12 febbraio 1924 Antonio Gramsci fondava L’Unità – quotidiano degli operai e dei contadini e organo di stampa del Partito Comunista Italiano. A 91 anni di distanza, L’Unità non va in edicola dal primo agosto 2014 e il sito non è più aggiornato da settembre: il giornale è chiuso.

Il 12 febbraio 2015 il giudice che segue la causa del quotidiano ha convocato le parti in causa per raggiungere un accordo tra la redazione e Guido Veneziani, già editore di Stop, Top e Vero e che a ottobre 2014 aveva presentato un’offerta di 10 milioni di euro per rilevare il giornale. Offerta che la Procura di Roma aveva già rigettato perché non prevedeva alcuna garanzia per il futuro lavorativo della vecchia redazione: Veneziani – dicono i giudici – deve dare garanzie ai dipendenti della precedente gestione e l’operazione proposta non può in alcun modo configurarsi come una semplice “cessione di un ramo d’azienda”. Detta in altre parole, Veneziani non può sfruttare il marchio L’Unità per fare un giornale con i suoi giornalisti, ma deve tenere una linea di continuità con il giornale edito dalla Nie (Nuova Iniziativa Editoriale) di Fabrizio Meli.

Al momento, i dipendenti della Nie sono 92, tra giornalisti, poligrafici e amministrativi ai quali devono essere pagati quattro mesi di stipendio arretrati (da aprile 2014 a luglio dello stesso anno), il trattamento di fine rapporto (Tfr), tredicesima, quattordicesima e rimborsi spese. Insomma, soldi che i lavoratori rischiano di non vedere mai, anche perché la Nie ha accumulato un debito di 30 milioni di euro. Ai dipendenti, si aggiungono i collaboratori del giornale che per il diritto privato sono inquadrati come “creditori chirografari”, cioè non garantiti ma che comunque hanno molti mesi di lavoro arretrato. E se non riuscirà l’operazione del Tribunale di liquidare L’Unità “in bonis”, cioè evitandone il fallimento, allora né i dipendenti né i collaboratori vedranno mai un euro per il lavoro che hanno svolto. L’unica speranza resta quindi l’offerta di Venenziani, a condizione che includa delle garanzie per la vecchia red azione.

Ma c’è anche un altro problema, e riguarda il Partito Democratico. Anni fa il partito di Matteo Renzi si era fatto garante di un accordo con Maurizio Mian, imprenditore ed ex industriale farmaceutico, che era entrato come socio nella Nie con sei milioni di euro. Oggi Mian rivendica non un ingresso in quanto socio ma un semplice prestito al giornale: questo vuol dire che se verrà fatta passare questa definizione, pure Mian diverrà un creditore e rivorrà indietro i suoi sei milioni. Da chi? Ovviamente dall’eventuale nuovo editore, Veneziani, che a quel punto investirebbe nel giornale solo quattro milioni dei dieci previsti.

Insomma, la questione è complicata anche perché quello che sembra mancare è la volontà effettiva di riaprire il giornale e di saldare tutti i debiti verso i lavoratori, compresi i collaboratori che in questa storia sono certamente quelli meno garantiti e tutelati.