È conosciuto anche come «regime di carcere duro» e viene applicato solo nel caso di reati molto gravi. Fra tutti, quelli mafia. Prevede molte restrizioni e soprattutto il quasi totale isolamento rispetto agli altri detenuti e al mondo esterno. Serve per garantire che venga mantenuta la sicurezza fuori dal carcere, una volta che un importante membro di un’organizzazione criminale viene condannato.
Cos’è – È un provvedimento dell’ordinamento penitenziario italiano introdotto a partire dal 1975. Inizialmente si riferiva solamente alle situazioni di rivolta o di gravi emergenze per la sicurezza in carcere, ma a seguito della strage di Capaci del 1992 (dove persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta) è stato esteso ai colpevoli di reati di reati di criminalità organizzata, ma anche a chi è condannato per altre accuse gravi come terrorismo, eversione, tratta di esseri umani, sequestro di persona e sfruttamento della prostituzione minorile.
Cosa prevede – Consente al ministro della Giustizia di sospendere le abituali regole di trattamento nella carceri nei confronti, ad esempio, di detenuti che fanno parte di un’organizzazione mafiosa. Ma solo nel caso in cui ci siano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica. L’isolamento prima di tutto. Il detenuto resta nella sua cella per 22 ore al giorno e non può parlare con nessuno. Rimane separato dagli altri carcerati anche durante le due ore d’aria, che passa in un corridoio. In quelle ore può però utilizzare un computer, ma solo su autorizzazione e per motivi di studio. Anche gli incontri con i familiari e con i propri avvocati hanno mote restrizioni, a partire dal fatto che non possono essere più di due al mese e hanno una durata limitata. Le visite avvengono attraverso un vetro ed è proibito qualunque contatto. Per quanto riguarda le telefonate, può farne al massimo una al mese e per un certo numero di minuti. Vengono poi controllate le lettere, sia quelle spedite che quelle ricevute, e, in alcuni casi, vengono vietati anche giornali e riviste. Nelle celle accanto, però, vengono messe le cosiddette «dame di compagnia», cioè mafiosi di rango inferiore con i quali possono chiacchierare per non più di due ore al giorno.
I numeri – Ci sono 22 case circondariali in tutt’Italia attrezzate per il regime di carcere duro. Oltre a Rebibbia a Roma e Poggioreale a Napoli, anche Novara in Piemonte (che ospita un decimo degli oltre 700 condannati), Macomer in Sardegna e Parma in Emilia-Romagna. Sono invece 729 i carcerati in regime di 41bis. Tra di loro, 628 sono membri di un’associazione mafiosa e 14 sono colpevoli di terrorismo jihadista.
Le celle – Sono molto piccole. L’arredamento è fatto da un letto, una panchina inchiodata al pavimento, un mobiletto e un fornelletto a gas per cucinare. A volte può esserci un televisore, ma dipende dal tipo di accusa per la quale si è condannati. Nella stessa stanza ci sono anche un lavandino e un bagno alla turca. Anche gli oggetti personali devono essere pochi. Non si possono attaccare fotografia al muro, né superare una certa quantità di penne, quaderni, denaro, bottiglie, capi di biancheria e vestiti. I sandali sono consentiti, ma solo dal 21 giugno. Non si può nemmeno tenere detersivo per lavare i piatti.
Privacy – Ai detenuti, di fatto, viene negata ogni possibilità di riservatezza. Le telecamere li accompagnano ovunque, dai colloqui con i familiari, alle celle, ai bagni. Inoltre, uno spioncino nella porta consente alle guardie carcerarie di controllarli in qualsiasi momento. Prima e dopo ogni visita il detenuto viene fatto denudare per essere perquisito.
Denunce dall’Europa – Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani nel 1995 ha intravisto nelle restrizioni gli estremi per definire il trattamento inumano e degradante. Il motivo era che i detenuti erano tagliati fuori da ogni attività e completamente isolati dal mondo esterno. La durata prolungata delle restrizioni produceva, secondo la Commissione, effetti dannosi che potevano portare anche ad alterazioni delle facoltà sociali e mentali. Ad aprile 2016 la Corte europea dei diritti dell’uomo è tornata sulla questione. Nella relazione che ha pubblicato si legge una richiesta di maggior riservatezza per i detenuti e una raccomandazione contro l’utilizzo «automatico» della proroga. Il 41bis dovrebbe essere infatti una misura temporanea, che può durare quattro anni ed essere prorogata per altri due, al massimo. Nel caso di Totò Riina, il provvedimento è stato rinnovato per le minacce contro magistrati e ministri e perché secondo gli inquirenti sarebbe ancora di fatto il boss di Cosa Nostra.
Casi di revoca – Esiste più di un caso nel quale il 41bis è stato tolto. Ad esempio per Antonino Troia, considerato responsabile della strage di Capaci. O Michele Aiello, condannato per l’attentato di via Georgofili, compiuto da Cosa nostra nel 1993 a Firenze, dove una bomba è esplosa vicino alla Galleria degli Uffizi.