Port Jackson, Sydney. Dieci dicembre. Sopra, una tipica giornata di sole, nell’estate all’emisfero sud. Sotto, una nebbia che nasconde qualsiasi panorama. «Non è l’umidità», spiega Giovanni Soldi, 25 anni, che oggi vive e lavora nella città australiana, ma «caligine». Fumo insomma, mescolato a piccole particelle di polveri e sabbie, causato dalle fiamme che da ottobre stanno devastando l’Australia e hanno incenerito circa otto milioni di ettari dal Queensland (est) a Victoria (sud).
Il fuoco – L’ondata di incendi che ha caratterizzato la fine del 2019 e l’inizio del 2020 in Australia verrà ricordata per il record di danni stimati dall’inizio delle registrazioni. Certo è che la storia australiana annovera altri disastri legati alle fiamme, a cui ha dato dei nomi precisi, come il Red Tuesday, il Martedì Rosso del 1983, o Black Christmas, il Natale Nero del 2001. Mai come oggi però la popolazione ha sentito il bisogno di dare al disastro ambientale un’accezione drammatica. «Il mostro» ad esempio, è il nome che i cittadini di Parndana, nell’isola dei canguri danno ai piro cumulonembi, le nuvole di lampi e venti che generano e aumentano gli incendi. Lo scienziato Steve Pyne invece, studioso ed esperto di fuoco all’Arizona University parla di «Forever Fires», fuochi perenni e di «Pyrocene», un’epoca «che abbiamo creato» caratterizzata da disastrosi incendi e che «colpirà tutto il mondo».
Persone, koala, cammelli e wallaby – Chi sono le vittime delle fiamme?Tutti. Persone, animali e piante. Il numero di vittime civili per ora è salito a più di 20, mentre la conta degli animali morti a causa degli incendi cresce di ora in ora. È difficile stimare il numero preciso di koala, l’animale simbolo dell’Australia, canguri, uccelli o serpenti bruciati dalle fiamme, così come è difficile prevedere la forma della futura biodiversità del Paese. Sicuramente questo duro colpo inflitto alla fauna richiederà del tempo perché si ristabilisca un equilibrio naturale, così come servirà molto tempo ai tanti allevatori del Paese per contare i danni, anche economici causati dagli incendi.
Le foreste- Alcuni raffigurano l’inferno di fuoco paragonandolo all’estensione di uno Stato, altri mostrano il rosso delle fiamme attraverso uno scatto satellitare della NASA, anche se solo una riproduzione. Ma un numero che fa sempre più paura e che sembra sempre più veritiero è quello dei boschi andati in fumo. Quasi 8,5 milioni di ettari. Le vaste distese di eucalipti e la vegetazione che in Australia è chiamata bush (boscaglia) bruciano facilmente. La pianta famosa per l’olio essenziale è aggredibile dalle fiamme, rafforzate appunto dall’olio e la resina. Ugualmente la bassa boscaglia, secca nel periodo estivo ha rappresentato una miccia perfetta.
Le città e le isole – «Questo è quello che sta piovendo», dice Giovanni in un video registrato con il cellulare, mostrando dei pezzi di materiale carbonizzato. A Sydney la nebbia di fumo sta diventando un problema per le persone, anche se il rallentare delle fiamme degli ultimi giorni fa sperare in un progressivo miglioramento della qualità dell’aria. L’isola dei canguri, Kangaroo Island, secondo le voci dei testimoni, è un vero «inferno di fuoco».
Il clima – Secondo la maggior parte della comunità scientifica il clima sta cambiando. L’Australia nel 2019 ha registrato temperature da record, con picchi di calore il 16 e 17 dicembre. L’Ufficio di meteorologia ha anche diffuso i dati sulla siccità e sulla pioggia caduta: solo 277 millimetri. Mai così poco. La predisposizione dell’Australia al fuoco ma anche l’emergenza climatica, sono solo due dei fattori che hanno reso l’ondata di incendi così eccezionale.
Le responsabilità – Secondo l’opinione pubblica però le responsabilità non ricadono solo sui fattori naturali, sui vortici di calore o le tempeste di fulmini: per i roghi sono state denunciate 180 persone, tra cui molti minorenni. Molti abitanti si chiedono se gli eventi fossero prevedibili ma soprattutto prevenibili. Le critiche che sono state dirette al Governo conservatore sono varie. Viene attaccato il sistema economico ancora basato sull’estrazione di carbon fossili, il mancato impegno per la riduzione delle temperature e delle emissioni ma anche la scarsa cura nel monitoraggio delle foreste, nel disboscamento programmato e nella creazione di canali frangi fiamme. Mentre il ping pong di accuse rimbalza da un lato all’altro del Paese, ma anche del mondo, i soccorritori cercano di fare il possibile per salvare la vita, di tutti. Come è avvenuto nella zona di Anangu Pitjantjatjara Yankunytjatjara, dove gli aborigeni hanno dovuto disporre un provvedimento per l’abbattimento di migliaia di cammelli. Gli animali, assetati dal calore del fuoco, avrebbero reso sempre più difficile la ricerca per la popolazione umana di acqua potabile e per ora, solo dalla Somalia sono arrivate numerose richieste contro il sacrificio dei cammelli.
Le donazioni – La lotta agli incendi è caratterizzata da un altro numero: trenta milioni. È il record di beneficenza registrato da Facebook, la piattaforma attraverso la quale molte persone hanno destinato i propri versamenti per lo spegnimento del fuoco.
La star della comicità made in Australia, Celeste Barber ha cominciato il 2 dicembre la campagna di raccolta fondi e da allora non si è ancora fermata. Hanno già donato 1,2 milioni di persone, le condivisioni del post sono arrivate a 1,1 milioni e le persone invitate a donare sono 4,3 milioni.