Suruwa Jaithe è morto nella notte tra sabato e domenica in un incendio nella tendopoli di San Ferdinando, vicino a Rosarno, nella piana di Gioia Tauro. Il rogo è nato probabilmente da un braciere e si è esteso rapidamente tra le tende di plastica sottile, prima di essere domato. Jaithe era un migrante gambiano appena maggiorenne, inserito nel progetto Sprar di Gioiosa Ionica e, a detta dei responsabili del centro, perfettamente integrato e animatore di alcune iniziative artistiche. Si trovava nel campo in visita ad alcuni amici. È il secondo migrante a perdere la vita nell’accampamento nel 2018.

La tendopoli – L’accampamento nasce dopo i disordini avvenuti nel 2010 a Rosarno, quando il ferimento leggero di alcuni migranti ad opera di ignoti fece esplodere le tensioni della comunità di migranti dedita alla raccolta stagionale dei prodotti agricoli, soprattutto arance. Centinaia di persone scesero in strada distruggendo auto e vetrine, finché l’intervento delle forze dell’ordine non fece rientrare la protesta. I migranti furono trasferiti nel vicino comune di San Ferdinando, in una tendopoli organizzata dalla Protezione civile regionale. Doveva essere una soluzione temporanea, ma è diventata la residenza permanente di centinaia di persone, che salgono fino ad un migliaio nella stagione della raccolta, in condizioni degradate e con servizi insufficienti. All’interno del campo sono presenti anche attività commerciali gestite da migranti, come bar, officine per le bici, negozi alimentari e di abbigliamento. Per quanto la sistemazione sia abusiva, molti residenti hanno regolare permesso di soggiorno o sono in attesa dell’accettazione della richiesta d’asilo.

I numeri – Il rapporto Vite Sottocosto del progetto Presidio della Caritas, che ha assistito oltre 5mila migranti in 4 anni, offre un quadro generale di chi sono i braccianti delle campagne italiane. Si tratta prevalentemente di giovani uomini africani, anche se cresce la quota di donne e di lavoratori comunitari dall’est Europa, senza dimenticare gli italiani come Paola Clemente, morta di fatica nelle campagne della Puglia nel 2015. L’istruzione è scarsa, 9 su 10 hanno un livello equiparabile alle nostre scuole inferiori e non sanno esprimersi in italiano. Tre quarti dei lavoratori non hanno alcun tipo di contratto e non risultano iscritti all’anagrafe, ma anche per i contratti si registrano numerosi casi di lavoro grigio, vale a dire un carico di prestazioni del lavoratore assai superiori a quelle in teoria scritte nel contratto. Parte dei miseri compensi viene ripresa dal datore di lavoro come quota per i servizi di trasporto da e per le coltivazioni o ‘quote d’ingresso’ per iniziare a lavorare. Per quanto concentrato nel Meridione, si moltiplicano i casi di caporalato al Nord: l’8% delle situazioni seguite dalla Caritas viene da Saluzzo, in Piemonte. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto della Cgil, condizioni di sfruttamento e semi-schiavitù riguardano 100mila braccianti agricoli in tutta Italia, mentre si sale a 300mila se si considerano quelli a rischio. Nonostante l’evidente dimensione criminale del fenomeno, con 3mila aziende che usano caporali legati alla criminalità organizzata, varie voci affermano sia un problema di sistema. Come osserva Goffredo Buccini sul Corriere della Sera, con gli attuali livelli di concorrenza interni alla grande distribuzione organizzata e di inefficienze nella filiera produttiva, l’agricoltura italiana non potrebbe sostenersi senza l’attuale tasso di 40% di lavoro irregolare sottocosto.