La magistratura di Bari ha concesso sei mesi di proroga delle indagini che hanno coinvolto il Governatore della Puglia. Il provvedimento è stato messo in atto dopo le acquisizioni e le perquisizioni della Guardia di finanza nella presidenza della Regione Puglia e per le quali Emiliano aveva denunciato una violazione del segreto istruttorio. Sono indagate altre quattro persone: il capo di gabinetto Claudio Michele Stefanazzi e gli imprenditori Giacomo Pietro Paolo Mescia, Vito Ladisa e Pietro Dotti.
La denuncia – «Ho denunciato ieri alla Procura della Repubblica una violazione del segreto istruttorio», ha detto il governatore pugliese, Michele Emiliano alla Gazzetta del Mezzogiorno. «Lunedì 8 aprile sono infatti venuto a conoscenza che giovedì 11 sarei stato oggetto di una attività di acquisizione di documenti e dati da parte della GdF in relazione ai finanziamenti percepiti in occasione della mia campagna per le primarie del Pd del 2017. La fuga di notizie in piena violazione del segreto istruttorio precisava ulteriori fatti e circostanze». Il governatore nelle sue dichiarazioni dice di aver fornito piena collaborazione alle autorità che hanno lasciato gli uffici della presidenza regionale con alcuni documenti sequestrati. l’11 aprile, in una conferenza su gelate e virus Xylella insieme al ministro del’agricoltura Gian Marco Centinaio, Emiliano ha evitato le domande dei giornalisti e ha dichiarato: «Perdonatemi ma vorrei evitare di fare dichiarazioni. Potete facilmente capirlo. Vi chiedo scusa per questo».
L’ordinanza – Il provvedimento, a firma del gip Antonella Cafagna su richiesta del procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno e del sostituto Savina Toscani, elenca i capi d’accusa contestati al governatore della regione Puglia e ai suoi associati. Michele Emiliano è accusato di abuso d’ufficio e induzione indebita insieme al suo capo di gabinetto Claudio Michele Stefanazzi. Gli imprenditori Giacomo Mescia, Vito Ladisa e Pietro Dotti, invece, sono accusati di concorso in reati tributari per l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
L’accusa – Tutto nasce da due fatture da 24 mila e 59 mila euro pagate dalla società di Giacomo Mescia (Margherita Srl) e Vito Ladisa (Ladisa Srl) alla società Eggers di Torino (di proprietà di Piero Dotti) che aveva curato parte della campagna elettorale di Emiliano per le primarie del Pd del 30 aprile 2017. Proprio per questo la società torinese vantava un credito nei contfronti di Emiliano di 65 mila euro. L’ipotesi accusatoria è che il governatore pugliese, in concorso con il suo capo di gabinetto, avrebbe indotto le due società, «entrambe in rapporti con la Regione Puglia per finanziamenti, contributi e concezione di servizi», a pagare quel debito.