Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, rinchiusi da febbraio 2010 nel carcere District Jail di Varanasi.

Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, rinchiusi da febbraio 2010 nel carcere District Jail di Varanasi.

La Corte suprema indiana ha disposto l’immediata liberazione di due italiani. Non sono i marò, ma Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, accusati dell’omicidio del loro compagno di viaggio Francesco Montis e in carcere a Varanasi dal 2010. L’alta corte dell’Uttar Pradesh ha annullato il 20 gennaio la condanna all’ergastolo per i due ragazzi, condannati in primo e secondo grado. L’ambasciata italiana ha avviato le procedure per ottenere il rilascio e disporne il rientro in patria entro 24 ore. La speranza è di vederli in Italia già nel fine settimana.

Tomaso e Elisabetta si sono sempre dichiarati innocenti. La loro odissea giudiziaria inizia il 7 febbraio 2010 quando vengono rinchiusi nel carcere di Varanasi, condannati a quello che i magistrati indiani hanno considerato un “delitto passionale”. I due si trovavano in vacanza in India con Francesco Montis, trentenne di Oristano fidanzato di Elisabetta, trovato poi senza vita nella loro camera d’albergo. Il processo è circondato fin da subito da una serie di dubbi e stranezze giudiziarie. Il movente è stato definito nella sentenza di condanna “non dimostrabile per insufficienza di prove”. L’esame dell’accusa si basa poi su un’autopsia condotta da un oculista, e il corpo di Francesco è stato rapidamente cremato perché l’ospedale dove era conservato era invaso dai topi, e questo ha impedito la possibilità di una seconda perizia.

La notizia della liberazione è stata annunciata su Facebook da Marina Maurizio, madre di Tomaso Bruno, che ha espresso una “grande gioia” e il riconoscimento che alla fine “il sistema giudiziario indiano ha dimostrato di funzionare”. Negli anni la mamma coraggio non si è mai arresa e ha mobilitato una rete sul tema degli italiani detenuti in un Paese straniero, un fenomeno che coinvolge più di tremila connazionali in carcere all’estero per reati effettivi o presunti.

Anche la Rete si è mobilitata per tenere viva l’attenzione su questa storia in parte dimenticata dai media, oscurata dalla vicenda dei due marò. A sostegno dei loro cari, le famiglie e gli amici hanno creato l’associazione Alziamo la voce e il gruppo su Facebook Tomaso libero. E c’è anche un film basato su lettere e riflessioni che il ragazzo ha scritto in carcere. Più libero di prima, un documentario che racconta l’odissea dei due italiani nei lunghi anni in cella. Girato dal regista Adriano Sforzi, amico d’infanzia del trentenne di Albenga, è stato reso possibile da un progetto di crowdfunding e alla mobilitazione sul web. “Sono entrato in carcere in India come un ragazzo in perenne conflitto con se stesso. Oggi sono talmente tranquillo che non provo nemmeno un pizzico di odio verso i responsabili di questa vergognosa ingiustizia”: queste le parole di Tomaso, un ragazzo come tanti partito per l’India nel 2010 in cerca di se stesso.

Elisabetta Invernizzi