Mancano solo due mesi al 30 giugno 2021. Poi per l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) sarà commissariamento. Le cifre del bilancio 2020 sono impietose: –242,2 milioni di euro, con un peggioramento di -70,8 milioni rispetto al 2019, che già si era chiuso con i conti in rosso (-171,4 milioni). Ma a preoccupare è soprattutto l’erogazione delle pensioni: nel 2022 l’Istituto rischia di non avere liquidità a sufficienza per pagare la previdenza dei giornalisti non più in attività (circa 10mila). Per scongiurare quest’ipotesi, l’Inpgi deve procurarsi nuove entrate in aggiunta ai contributi che vengono versati regolarmente.

Le posizioni – «Questa potrebbe essere l’ultima relazione al bilancio firmata da un presidente eletto – ha affermato Marina Macelloni, a capo dell’Inpgi, durante la relazione al bilancio consuntivo del 29 aprile – La scadenza si sta avvicinando senza che una reale soluzione al deficit strutturale dell’Istituto sia stata individuata concretamente». Il dibattito nel mondo giornalistico ruota attorno a due posizioni che potrebbero risanare i conti dell’Istituto: la garanzia pubblica e l’allargamento della platea ai comunicatori.

La garanzia pubblica – Le difficoltà economiche dell’Inpgi derivano soprattutto dagli ammortizzatori sociali, per i quali l’ente ha speso oltre 500 milioni di euro negli ultimi dieci anni. L’Istituto, infatti, non usufruisce di finanziamenti statali, che per altre categorie di lavoratori coprono, ad esempio, prepensionamenti e cassa integrazione. Per questo, la minoranza chiede allo Stato di farsi carico del passivo dell’ente, che resterebbe privato ma con la possibilità del pubblico di prendere accorgimenti e attuare controlli. A dicembre 2020, oltre 3mila giornalisti, tra cui volti noti della tv, hanno firmato una petizione diretta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere la garanzia pubblica dello Stato sul sistema pensionistico. Hanno aderito anche figure che storicamente appartengono alla maggioranza, che al momento si trova su altre posizioni.

L’allargamento della platea – La maggioranza punta sui comunicatori che lavorano negli uffici stampa senza un contratto giornalistico. L’obiettivo è ampliare la platea dei contribuenti e aumentare le entrate nelle casse dell’Istituto. Il loro ingresso è previsto dal 2023, in base al Dl Rilancio del 2019. Ma l’Inpgi vorrebbe anticiparlo al 2021. L’allargamento a circa 14mila nuovi soggetti dovrebbe valere 130 milioni di euro l’anno. Ma questa soluzione si scontra con l’opposizione dei privati (8.500), contrario allo spostamento dei contributi dall’Inps all’Inpgi. Se non dovessero accettare la proposta, i soli comunicatori pubblici (5.500) porterebbero all’Istituto 55 milioni di euro l’anno. Soldi non sufficienti per risanare i conti dell’ente.

Il piano – A gennaio 2021, il consiglio di amministrazione dell’Inpgi aveva presentato cinque punti per salvare le pensioni dei giornalisti. Il piano punta non solo sui tagli agli assegni, ma anche agli stipendi, alle prestazioni e ai costi dell’ente. Il Cda prevede: cinque anni di contributo straordinario all’1% per giornalisti attivi e pensionati; un tetto ai ricavi per i pensionati di 5mila euro all’anno; la sospensione delle prestazioni facoltative; abbattimenti percentuali per le pensioni di anzianità; riduzione dei costi dell’Istituto (5%) e degli Organi collegiali (10%). Secondo la maggioranza interna all’Inpgi, con l’introduzione di queste misure, il risparmio dovrebbe aggirarsi intorno ai 20 milioni di euro l’anno.

Il commissariamento – Ancora non è chiaro quale sia l’obiettivo del governo Draghi. Non c’è stato un pronunciamento, ma solo una generica indicazione sulla volontà di salvare l’Istituto. Il commissariamento è la conseguenza naturale della mancanza di un accordo tra l’ente e lo Stato. Resta da capire se l’atteggiamento prudente del governo sia o meno un modo per ottenere carta bianca sui provvedimenti necessari per salvare le casse dell’Inpgi. In particolare, l’esecutivo chiede la retrodatazione di 10 anni del sistema contributivo. Questo comporterebbe un ricalcolo delle pensioni in base al nuovo criterio. «La situazione è drammatica, da parte della categoria non ci sono attenzione e comprensione – spiega Fabio Cavalera, membro del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti Lombardia – I cinque punti non salvano l’ente, anche se è un passaggio di buona volontà e potrebbero funzionare sul lungo periodo. Il Cda dovrà decidere se renderli esecutivi o meno, ma devono comunque passare da un accordo con il governo».