Nell’Iran del doppiopesismo, dove decine di persone rischiano l’esecuzione dopo processi sulla cui regolarità è lecito avanzare dubbi, un uomo che uccide la propria moglie se la cava con pochi anni di carcere. Ieri un tribunale della Repubblica islamica ha condannato a 8 anni e mezzo di reclusione Sajjad Heidernava, l’uomo che nel febbraio dell’anno scorso ha decapitato la diciassettenne Mona Heidari mostrandone fieramente la testa per le strade di Avhaz, nella parte sudoccidentale del Paese. La pena è stata mitigata dall’attenuante del “delitto d’onore” e dal fatto che i genitori della giovane vittima avevano perdonato l’omicida. All’epoca del delitto, Mona Heidari aveva un figlio di tre anni.
La storia – Mona era stata costretta dalla famiglia a sposare suo cugino Sajjan quando aveva 12 anni. In Iran l’età minima per le nozze è fissata a 13 anni ma una legge consente di anticiparla se un magistrato firma un “certificato di crescita” in base al quale la bambina risulti già fisicamente matura. Dopo due anni di matrimonio e un figlio, partorito a soli 14 anni, la sposa bambina decide di scappare dalla sua prigione domestica per rifugiarsi in Turchia, forse per vivere con un rifugiato siriano conosciuto online. Costretta dai genitori a far rientro nel proprio Paese, con la garanzia che sarebbe stata al sicuro, Mona è stata decapitata dal marito, aiutato dal fratello Heidar Heidernava. Il caso aveva sconvolto il Paese anche per i video pubblicati sui social in cui si vedeva l’omicida portare la testa della moglie per le strade di Avhaz, sorridente, come fosse una legittima riparazione dell’onore offeso.
La sentenza – Per l’omicidio, dopo un processo durato otto mesi, un tribunale iraniano il 18 gennaio ha condannato a otto anni e mezzo di reclusione Sajjan Heidernava e a 45 mesi il suo complice. L’entità della pena si spiega con l’attenuante del “delitto d’onore”, un istituto cardine del sistema penale iraniano (in vigore anche in Italia fino al 1981) che prevede sconti di pena nel caso di reati commessi per vendicare la propria onorabilità. Secondo il portavoce della magistratura, Massoud Setayeshi, Sajjan ha agito in questo senso. L’agenzia di stampa Irna, alle dipendenze del ministero della Cultura e dell’orientamento islamico, ha fatto inoltre sapere che i genitori di Mona Heydari avevano «perdonato» suo marito per l’omicidio. Secondo il codice iraniano, basato sul diritto islamico sciita, questa circostanza consente all’imputato di evitare la pena di morte e avere uno sconto di pena.
La repressione non si ferma – Nel frattempo, insieme alle proteste, non si placa la morsa repressiva del regime degli ayatollah. Secondo Iran Human Rights, la ong con sede a Olso, oltre 100 manifestanti arrestati di età compresa tra i 20 e i 30 anni rischiano la pena capitale. L’ultimo caso è stato quello di Mohammad Mehdi Karami, un ventiduenne campione di karate. Dopo un processo durato soli 15 minuti e in assenza di giornalisti e familiari, è stato impiccato lo scorso 7 gennaio perché ritenuto colpevole di aver avuto responsabilità nell’uccisione di un membro delle forze paramilitari Basij a Karaj, a ovest di Teheran. L’emittente con sede a Londra e in lingua persiana Iran international fa sapere che il 98% dei manifestanti arrestati nella capitale sono stati rilasciati e “pare che sia lo stesso anche nel resto del Paese”. Intanto il Parlamento europeo ha chiesto che le Guardie della rivoluzione iraniana, i pasdaran, siano considerate organizzazioni terroristiche.