Nella vicenda Kashoggi, il giornalista saudita scomparso a Istanbul dopo essere entrato nel consolato di Ryad, spunta il nome di un’azienda italiana. Secondo il Washington Post, di cui il reporter era un collaboratore, sarebbe stata l’Hacking team, società di Milano specializzata in cyberspionaggio, a vendere all’Arabia Saudita i sistemi elettronici con cui Jamal Ahmad Khashoggi è stato tracciato. Non solo. Sempre secondo il quotidiano Usa, nel capitale di Hacking Team sarebbero presenti personaggi vicini al governo saudita e con gli apparati forniti dall’azienda sarebbero stati messi sotto sorveglianza altri dissidenti del regime. Hacking Team, interpellata da La Sestina, in un primo tempo non ha voluto fare dichiarazioni. Poi il consulente per le relazioni esterne della società, Dario Faggioni, ha dichiarato che non sono stati emessi comunicati riguardo alle “illazioni pubblicate dal Washington Post” e che non si intende rilasciare nuovi commenti in proposito.

Caso Regeni – Non è la prima volta che l’azienda finisce al centro dell’attenzione mediatica. Un altro episodio, raccontato a quel tempo da La Stampa, riguardò la morte di Giulio Regeni, il ricercatore trovato senza vita in Egitto. Anche il Governo del Cairo sarebbe stato tra i clienti della società. La critica mossa ad Hacking Team dalle organizzazioni promotrici dei diritti umani è quindi quella di sostenere la repressione attuata in regimi illiberali. La Srl due volte, nel 2014 prima e nel 2016 poi, era stata punita dallo Stato italiano con l’imposizione di autorizzazioni più stringenti per l’esportazione dei suoi prodotti.

L’azienda – “La nostra tecnologia è usata quotidianamente per combattere la criminalità in sei continenti”, è quanto si legge sul sito dell’impresa. Il progetto era iniziato nel 2003, e l’idea della sicurezza offensiva era sembrata buona, tanto da essere utilizzata, secondo Il Fatto Quotidiano, anche dalle forze dell’ordine italiane e da ricevere finanziamenti da Finlombarda, la finanziaria di investimenti della Regione Lombardia. Dopo aver subito un attacco hacker, l’azienda aveva cambiato struttura societaria con l’uscita di scena di alcuni soci, tra cui Finlombarda: con una quota del 20% era entrata in società Tablem limited, un’impresa con sede a Cipro il cui dirigente sarebbe un membro della famiglia al-Qahtani. Saud al-Qahtani è uno stretto collaboratore del principe saudita Mohammad bin Salman: avvocato molto vicino alla corte di Riyadh, sempre secondo il Wahington Post nel 2015 aveva scritto ad Hacking team per ricevere la lista completa dei servizi offerti in vista di una partnership definita da lui stesso «lunga e strategica». Il restante 80% delle quote è detenuto dal Ceo e fondatore David Vincenzetti: nel 2016 Foreign Policy ha pubblicato un articolo su di lui dal titolo “Fear this Man” (temete quest’uomo), nel quale ha raccontato l’uso sistematico dei software di spionaggio a danno della privacy dei cittadini.

Ultime parole di Kashoggi – Il 10 dicembre la Cnn ha pubblicato un articolo nel quale una fonte racconta il contenuto della registrazione audio dell’ultimo giorno di Kashoggi, quando entrò nell’ambasciata saudita. “Non posso respirare” sono state le ultime parole pronunciate dal giornalista, il cui corpo è stato poi smembrato mentre gli esecutori coprivano il rumore con la musica e facevano telefonate. Insomma, ha concluso la fonte dell’emittente tv americana, si è trattato di un «piano premeditato» e non di un incidente di percorso. La morte del giornalista è tuttora oggetto di inchiesta da parte delle autorità turche, mentre la procura saudita ha annunciato la condanna a morte di cinque persone ritenute responsabili dell’omicidio.