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La chiamano “krokodil” perchè ti trasforma in un coccodrillo in pochissimo tempo: la pelle intorno ai punti in cui viene iniettata prima si squama, poi si squarcia. Fin dal primo contatto, i tessuti interni vengono danneggiati in modo irreparabile. Il tessuto osseo si dissolve e grosse piaghe si formano sulla cute fino ad arrivare alla cancrena, tanto da rendere necessaria, nei casi più gravi, l’amputazione degli arti. Inventato negli Stati Uniti, molto diffuso in Russia, il krokodil è arrivato sulle piazze italiane quattro anni fa. Ora si ricomincia a parlarne perchè si è notata la sua diffusione nel nord d’Italia, a partire da Milano.

Cos’è – Il krokodil fa parte del gruppo degli oppiacei. Il nome chimico è desomorfina, una sostanza derivante dalla morfina ma con effetti fino a 10 volte più potenti. L’ingrediente principale per produrla è la codeina, un analgesico che in Italia si può reperire solo tramite ricetta medica in quanto sottoposta alla legge sulle sostanze stupefacenti. Unita al paracetamolo, si trova in medicinali di largo consumo come il Co-Efferalgan e il Tachidol. Per ottenere il krokodil, alla codeina vanno aggiunte diverse sostanze: benzina, olio, detersivi, iodio e fosforo rosso (la polvere che forma la “testa” dei fiammiferi). Tutti ingredienti facili da trovare e di costo molto basso: si tratta quindi di una droga “da strada”, la nuova versione “popolare” dell’eroina. «È difficile pensare che chi consuma questa sostanza possa sopravvivere molti anni: il krokodil è molto dannoso anche per gli organi interni. Fin dalla prima assunzione ci sono conseguenze nocive a livello di fegato, cervello, sistema nervoso in generale e, oltre alla perdita dei freni inibitori, si registra forte aggressività», spiega Riccardo Gatti, responsabile del Dipartimento Dipendenze dell’Ats (ex Asl) di Milano. La speranza di vita per chi assume krokodil è molto bassa: da 1 a 3 anni. Inoltre, «è una sostanza da cui è molto difficile disintossicarsi», sottolinea Gatti.

Diffusione – Inventata negli Stati Uniti nel 1932, è diffusa soprattutto in Russia. Fin dal 2002 si sono registrati numerosi casi in Siberia. «In questi territori, dove è nata la droga, la diffusione è davvero problematica. La gente la prende perché ha effetti potenti e costa poco. Certo è che le dipendenze che devastano alcuni tossicodipendenti sono così forti e alteranti la realtà psichica che il bisogno di droga supera ogni preoccupazione e considerazione», continua Gatti. Si stima che in Russia 100mila persone muoiano ogni anno per colpa del krokodil, su un totale di 2,6-6 milioni di tossicodipendenti. La maggioranza degli utilizzatori è composta da giovanissimi: l’età media è inferiore ai 30 anni, ma ci sono anche 12enni che ne fanno uso. In Europa si è cominciato a parlarne circa sei anni fa e i media hanno riportato la notizia di qualche morte avvenuta a causa del krokodil (soprattutto in Germania). Il World Drug Report 2016, documento prodotto dall’Ufficio delle Nazioni Unite su crimine e droghe, non cita il krokodil ma stima che circa 17 milioni di persone nel mondo fanno uso di sostanze oppiacee (dati 2014).

Italia – Per ora sembra che la diffusione sul mercato italiano sia limitata a soggetti con tossicodipendenze gravi. Nel 2013 un servizio del programma Le Iene ha portato per la prima volta all’attenzione del pubblico l’esistenza di questo oppiaceo. La presenza della “droga che ti mangia” è stata documentata nel 2014, quando mezzo chilo di krokodil è stato sequestrato a una donna a Padova. Due anni più tardi, nel settembre 2016, si è verificato il primo caso di morte in Italia. Il 6 marzo 2017 un articolo del Corriere della Sera ha rivelato che questa droga potrebbe iniziare a costituire un pericolo più serio e urgente di quanto finora sospettato. L’articolo racconta di una notte in cui la polizia, durante un controllo, trova addosso a un ragazzo romeno una dose. Pagata solamente «2 o 3 euro», sembra arrivi dal bosco della droga di Rogoredo, sottoposto a numerosi blitz delle forze dell’ordine contro spaccio e degrado. Quando il ragazzo mostra agli agenti una grossa ulcera rotonda di 6-7 centimetri di diametro sul polpaccio, con la carne viva e infettata, i poliziotti commentano: «Eccone un altro. È quella porcheria russa». Eppure, secondo quanto riferisce Riccardo Gatti, «a Milano non si sono ancora avute notizie dirette nei Dipartimenti dell’Ats. È un fenomeno che si sta diffondendo adesso. Questo perché, occupandoci nei Sert di trattamento multidisciplinare della dipendenza, intercettiamo il problema in una seconda fase. C’è una latenza tra la diffusione di una nuova droga e il momento in cui le persone vengono registrate dai servizi sul territorio».