La fuga di Diabolik è finita e insieme finisce la lista di latitanti a cui lo Stato italiano e le forze dell’ordine sono stati dietro per decenni. Il boss mafioso Matteo Messina Denaro, uno dei dieci uomini più ricercati al mondo, è stato catturato dai Ros a Palermo. Un arresto che, alla luce dei precedenti, segna una tappa fondamentale nella lunga battaglia contro la mafia portata avanti dallo Stato italiano.

In foto: Totò Riina. Fonte: Dagospia

Totò Riina- Erano le ore 9 del 15 gennaio 1993 quando Toto u’ curtu, il soprannome dato a Salvatore Riina per via della sua statura, venne arrestato dai carabinieri di Palermo a pochi metri dalla sua casa in via Bernini, 54. La cattura del “capo dei capi”, mandante della strage di Capaci, è stata possibile grazie alle dichiarazioni di Balduccio Di Maggio, autista di Riina, arrestato in provincia di Novara l’8 gennaio 1993. Di Maggio si rese disponibile a collaborare con la giustizia e venne portato a Palermo. Quando dal cancello uscì una Citroen ZX, Di Maggio riconobbe l’uomo che era alla guida, e cioè Salvatore Biondino, e si disse quasi certo che al suo fianco, seduto sul sedile del passeggero, ci fosse Riina. I carabinieri, guidati dal capitano Ultimo, fermarono l’auto e immobilizzarono Biondino: non ci fu nessuna resistenza da parte di Riina, morto il 17 novembre 2017 nel reparto detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma.

In foto: Filippo e Giuseppe Graviano. Fonte: Il Fatto Quotidiano

I fratelli Graviano- Dopo l’arresto di Riina, vennero arrestati Filippo e Giuseppe Graviano, i fedelissimi del capo dei capi. I boss di Brancaccio sono gli uomini delle stragi del 1993 a Milano, Firenze e Roma, nonché i mandanti dell’omicidio di Don Pino Puglisi. I Graviano vennero arrestati in un ristorante di Milano il 27 gennaio del 1994, poche ore dopo la discesa in campo di Berlusconi.

In foto: Giovanni Brusca. Fonte: Ansa

Giovanni Brusca- Il 20 maggio del 1996 gli uomini della squadra mobile di Palermo fecero irruzione nella villa di San Leone, in provincia di Agrigento, di Giovanni Brusca. È stato condannato per oltre un centinaio di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santino Di Matteo), strangolato e sciolto nell’acido, e per la Strage di Capaci. Secondo gli inquirenti, fu lui a premere il telecomando che avrebbe fatto esplodere la bomba sotto il manto stradale della A29. Nel 2001 gli venne riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia. Nel 2021, dopo aver trascorso 25 anni in carcere, è stato liberato per aver scontato la sua pena, rimanendo sottoposto alla libertà vigilata per ulteriori 4 anni, secondo quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano.

In foto: Gaspare Spatuzza. Fonte: Ansa

Gaspare Spatuzza- Tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Don Pino Puglisi c’era anche il boss Gaspare Spatuzza. L’uomo si è autoaccusato di aver rubato la Fiat 126 che il 19 luglio venne impiegata come autobomba nella strage di Via D’amelio in cui morirono il giudice Borsellino e la sua scorta. È stato arrestato nel 1997 e dal 2008 collabora con la giustizia. A causa delle informazioni svelate sulla Strage di via d’Amelio, Messina Denaro aveva minacciato di ucciderlo nel 2013.

In foto: Bernardo Provenzano. Fonte: Ansa

Bernardo Provenzano- Dopo la cattura di Riina, il capo dei capi divenne Bernardo Provenzano, detto Binnu (trattore). Fu arrestato l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza, in un casolare di un pastore, a Corleone, dove all’interno c’erano formaggi, crocifissi e santini. Nell’abitazione vennero ritrovati anche i pizzini, cioè i mezzi di comunicazione che Provenzano utilizzava per impartire ordini agli affiliati di Cosa nostra. E proprio seguendo quei pezzi di carta le autorità riuscirono a scoprire il suo covo. È stato al 41 bis per 8 anni, fino al 9 aprile 2014. È morto il 13 luglio 2016 nell’ospedale San Paolo di Milano dove era ricoverato per un tumore alla vescica.