Hanno simbolicamente rivolto le spalle alla Camera, contro la politica che finora ha fatto lo stesso con loro, ignorandone le istanze. Si sono tolti di dosso il camice bianco, prezioso ma difficile da conservare in futuro. Hanno però tenuto la mascherina e rispettato la distanza di sicurezza l’uno dall’altro: nemmeno durante una protesta ci si dimentica di essere medici. Così hanno manifestato, il 27 maggio, moltissimi studenti di medicina in Piazza Montecitorio contro le insufficienti misure del governo per aumentare il numero delle borse di studio destinate a pagare i neo laureati che entrano nelle scuole di specializzazione.

Non un problema nuovo, ma reso più urgente dalla pandemia di Covid-19, che ha messo in evidenza diversi problemi strutturali del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), tra cui soprattutto la carenza di personale. Quasi tutti i partiti, sia di maggioranza che di opposizione, si sono così confrontati con i responsabili delle 11 associazioni che hanno organizzato la protesta. Il dialogo tra le parti ha portato alla stesura di più emendamenti al Decreto Rilancio da parte di esponenti del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico, della Lega, di Forza Italia e di Fratelli d’Italia. Inizialmente il governo, nel complesso dei 3,5 miliardi riservati alla sanità, aveva stanziato 95 milioni per un aumento di 4.200 borse di specializzazione rispetto a un anno fa, portando così il totale a circa 12mila posti. Un numero giudicato insufficiente dagli studenti, visto che gli iscritti per il prossimo concorso a settembre dovrebbero essere quasi 21mila.

La protesta degli studenti di medicina davanti la Camera lo scorso 27 maggio

L’imbuto formativo – L’enorme differenza tra disponibilità e domanda porterebbe 8/9mila laureati nel limbo dell’imbuto formativo, così come viene definita la situazione di stallo di quei medici che, ottenuti l’alloro e l’abilitazione, non possono proseguire la loro formazione per la carenza di posti. Ottenere una specializzazione è fondamentale per esercitare la professione e, soprattutto, per garantire ai cittadini un numero di cardiologi, anestesisti, pneumologi, virologi e altri esperti adeguato alle esigenze della collettività. Una carenza che ha pesato molto sugli ospedali nella fase più critica della pandemia da coronavirus, tanto da costringere in alcuni casi a richiamare diversi dottori dal prepensionamento. Dal 2013 le borse di specializzazione sono in numero di gran lunga inferiore rispetto ai neo-laureati in Medicina e al personale richiesto dalle Regioni. Una discrepanza ogni anno più grande e che, come è stato stimato da una ricerca di Anaao-Assomed (Associazione Medici Dirigenti), rischia di portare l’imbuto formativo a ospitare 16mila laureati nel 2025. Il progressivo aumento di questa cifra è provocato dai nuovi laureati che ogni anno si aggiungono a chi non riesce subito a superare il concorso e si prepara per quello dell’anno successivo. Senza specializzazione, l’unico possibile impiego per i neo-dottori sono le sostituzioni di guardia medica e i contratti precari all’interno di cliniche private. Tanti decidono di andare all’estero, pronti a essere accolti. Un danno anche economico per il Paese, visto che per formare un medico nel primo ciclo di studi servono almeno 250mila euro.

La soluzione peggiore del problema – Il penultimo esecutivo, presieduto sempre da Giuseppe Conte, aveva voluto sopperire alla scarsa disponibilità di medici negli ospedali, affrontando però il problema dalla parte sbagliata. Marco Bussetti, ex ministro leghista dell’Istruzione, ha infatti aumentato il numero di posti per i corsi di laurea di Medicina e Chirurgia e di Odontoiatria, ma senza una corrispondente crescita di quelli disponibili nelle scuole di specializzazione. Così si rischia di aumentare ancora di più il numero dei “camici grigi”, come vengono chiamati i dottori che restano nell’imbuto formativo. Sempre per questa ragione, suonano velleitarie le saltuarie prese di posizione politiche contro il numero chiuso nell’accesso alle facoltà. «Il concorso per le borse specialistiche dovrebbe essere gestito dal ministero della Salute, che conosce le esigenze e le carenze dei vari reparti, non da quello dell’Istruzione», spiega Iulia Ferent, membro di Venti di Cambiamento Fenix, una delle associazioni coinvolte nella protesta del 27 maggio. «Gli emendamenti proposti sono un primo segnale, ma non bastano».

Studentessa in protesta con mascherina e distanza di sicurezza

Migliorare il percorso formativo – Se l’esiguo numero di borse è il problema più tangibile, sono diverse le storture di un sistema formativo che i giovani medici chiedono di migliorare. Gli emendamenti prevedono lo stanziamento di ulteriori fondi per creare almeno duemila posti di specializzazione in più e per ampliare la rete ospedaliera dedicata alla formazione delle nuove leve. Una possibile soluzione sta nello sfruttamento non solo dei policlinici universitari, ma di quanti più ospedali del territorio possibili, appartenenti sia al circuito pubblico che a quello privato. Un’eventualità che permetterebbe agli specializzandi di essere più operativi e di non limitarsi per la maggior parte del tempo all’osservazione dei colleghi più esperti, ma cercando di agire a più stretto contatto con i pazienti. Un’eventualità contemplata nel modello universitario tedesco, preso spesso come punto di riferimento. Al tempo stesso però, «è necessario che gli ospedali vengano selezionati in maniera adeguata», spiega ancora Ferent. «Ogni anno entro il 30 maggio si deve formare un osservatorio speciale per l’accreditamento delle scuole di specializzazione e quest’anno non è stato fatto», continua la laureanda, «inoltre i controlli sulle strutture dovrebbero essere fatti in maniera continua, a tappeto, ma spesso si tratta di verifiche a campione soltanto su una percentuale di scuole. Così facendo è difficile riscontrare criticità. Ad esempio, lo scorso anno sono stati concessi accreditamenti con riserva per permettere ad alcuni ospedali di correggere determinati problemi. Senza però che quest’anno si sia formato l’osservatorio, come si fa a verificare se le migliorie sono state apportate?».

Contratti penalizzanti – Oltre al problema delle strutture in cui finire di formarsi, anche la tipologia di contratto per gli specializzandi solleva molte rimostranze. Tutti coloro che entrano in una specializzazione non sono considerabili dei semplici studenti, ma già dottori, avendo sostenuto la prima laurea e l’abilitazione. Per questa ragione, le associazioni premono affinché i giovani medici abbiano un riconoscimento come lavoratori anche a livello contrattuale. «Non abbiamo ferie e pochissimi giorni di malattia. Bisogna affidarsi sempre al buonsenso del rispettivo tutor, ma questa non può essere la soluzione. Non tutti possono trovare disponibilità dall’altra parte», commenta ancora Ferent.

Gli studenti si ribellano levandosi il camice in segno di protesta Per le foto all’interno dell’articolo e di copertina si ringraziano Silvia Marucci e Riccardo Paolini

Gli argomenti sul tavolo sono molti e la speranza è che vengano affrontati già prima del prossimo concorso a settembre. Servono però risposte che non si limitino solo alle contingenze, ma che permettano al sistema di essere funzionante a lungo termine, consentendo a ospedali e cliniche di avere più risorse per il futuro. Se è vero che una pandemia è un evento difficilmente pronosticabile e quindi complesso da gestire, già nella vita di tutti i giorni ci si può accorgere delle difficoltà del sistema sanitario, come dimostrano le lunghe liste d’attesa per controlli e operazioni. Se l’ondata più pesante di Covid-19 è passata, ora si devono riaffrontare quelle urgenze che non sono affatto scomparse, ma  solo accantonate: screening, terapie anti-tumorali, interventi. Anche per questo ci sarà ancora più bisogno di nuovi medici.