L'infermiera Laura T. e l'ex viceprimario del pronto soccorso di Saronno Leonardo Cazzaniga, arrestati dai carabinieri di Saronno il 29 novembre 2016, in una foto tratta dal profilo Facebook della donna

«L’unico omicidio perfetto è l’omicidio farmacologico». Laura T. ne era certa. Tanto da spiegarlo a suo figlio, 11 anni, mentre in un macabro gioco progettavano insieme la morte della nonna.

In queste parole è condensato il delirio in cui l’infermiera di Saronno è precipitata assieme al suo angelo della morte, il medico Leonardo Cazzaniga. La loro caduta può essere raccontata attraverso le frasi raccolte in questi mesi dalla Procura di Busto Arsizio. La maggior parte di queste testimonianze e intercettazioni riguardano l’omicidio del marito di Laura, l’agricoltore Massimo G.

La sua morte è l’ultima in ordine cronologico tra quelle attribuite alla coppia e risale al 30 giugno 2013. L’infermiera però aveva cominciato a tessere la sua trama ben prima di questa data.

In un’intercettazione registrata a luglio 2015 la coppia di assassini parla del loro rapporto e chiarisce per quanto tempo è andata avanti la loro storia.

«Sai che ci pensavo l’altra sera che gira che ti rigira è cinque anni che io e te ormai ci frequentiamo, abbiamo iniziato nel luglio 2011», afferma Laura. «Sono quattro anni amore mio, non cinque», risponde Leonardo.

Dopo pochi mesi dai lori primi incontri comincia a nascere l’idea di liberarsi di Massimo. Per loro che lavorano in ospedale non è difficile scegliere l’arma per il delitto, basta usare i farmaci.

«Lo zucchero nel caffè si scioglie, le pastiglie no». La prima traccia del piano criminale è stata riportata da un’altra infermiera che lavora all’Ospedale di Saronno. Nell’estate 2011 Laura le aveva confessato di mettere degli antidepressivi nel caffè del marito per placare la sua libido. Forse quel giorno le sue parole potevano sembrare solo uno scherzo, ma ora assomigliano ad un monito.

«Quale betabloccante abbassa il battito cardiaco o la pressione?». Poco dopo aver parlato di caffè avvelenati con la sua collega, Laura si rivolge a una cardiologa che lavorava nel suo stesso ospedale. Le chiede informazioni sui betabloccanti, farmaci che hanno la capacità di ridurre il ritmo del battito del cuore. La dottoressa le risponde descrivendole il più potente. Terminata la spiegazione Laura replica con una battuta: «Così lo metto nel pesto di Massimo».

L’infermiera comincia ad avvelenare il marito, giorno dopo giorno. I primi effetti non tardano ad arrivare. Nel novembre 2011 Massimo viene portato in pronto soccorso. All’improvviso aveva perso le forze e si era accasciato a terra. Le analisi mostrano che nel suo sangue sono presenti tracce di quei farmaci usati per avvelenarlo. In ospedale cominciano a nascere sospetti. Bisogna cambiare strategia.

«Laura cominciò a raccontare in reparto che il marito aveva malori dovuti a violenti sbalzi glicemici». È sempre dalle parole di una collega che si legge di un nuovo capitolo di questa vicenda. Dall’inizio del 2012 Laura cerca di convincere il marito di avere il diabete. Assieme a Leonardo riesce ad ottenere finte analisi del sangue che evidenziano la necessità per Massimo di assumere medicinali del tutto inutili. Ad aprile dello stesso anno arrivano così le prime crisi e i primi ricoveri.

L’anestesista continua a falsificare esami e verbali. Prescrive medicine sempre più potenti che rendono sempre più grave lo stato di salute della vittima. Fino ad arrivare alla morte.

«Io penso che mio marito abbia avuto un infarto e sia morto». È la stessa Laura a chiamare il 118 quando il 30 giugno del 2013, appena dopo mezzogiorno, trova il marito morto sul divano della loro casa di Lomazzo.

«Io mi metterò anche a piangere». Nel luglio 2015 la coppia di assassini comincia ad insospettirsi. Sono state aperte le indagini sulla morte di Massimo e gli inquirenti vogliono sentire anche Laura. Lei è disposta a tutto per convincerli della sua innocenza, anche a scoppiare in lacrime.

Nei mesi successivi i due continuano rassicurarsi a vicenda sulle indagini in corso. Leonardo pensa ai pazienti uccisi con il suo cocktail di farmaci e ha paura di essere accusato di omicidio volontario. «Si può documentare che io ho praticato l’eutanasia». Dopo questa frase però Laura sembra uscire per un attimo dal loro vortice di follia. «L’eutanasia è un altra cosa. È quando una persona lucide di chiede di porre fine alla sua vita». Ma Leonardo non è d’accordo, fra l’eutanasia e le sue azioni non c’è molta differenza. «Se non è eutanasia è omicidio volontario! Se non è zuppa è pan bagnato!»

Dopo la morte del marito Laura ordina di cremare il suo corpo. Una scelta che genera l’entusiasmo dell’anestesista, convinto che in questo modo il loro omicidio non non potrà mai essere scoperto. «Tu hai avuto un’eccellente idea, oltretutto dalla cremazione non possono capire niente».

La conversazione tra l’infermiera e i suoi due figli chiude le carte con cui la Procura di Busto Arisizio dispone il suo arresto. Sono parole del marzo 2016 dove la donna si diverte con i suoi bambini a progettare di uccidere altri membri della famiglia, così da accedere a tutta l’eredità del marito.

«Non sai quanto le nostri menti omicide messe insieme sono così geniali». Sostiene il figlio di Laura parlando con sua madre. Lui vorrebbe utilizzare una spada per compiere i suoi delitti. Lei lo corregge. Meglio usare i farmaci. Non lasciano tracce. Poi però rimane sempre il problema di dove smaltire i corpi delle vittime per evitare l’autopsia. «L’omicidio va pensato, vanno pensato le concause. Ad esempio tua nonna Maria non vuole essere cremata, quindi è un corpo che può essere riesumato. Poi c’è tua zia Gabriella. Le avresti fatte sparire così? Sono grosse eh! L’umido da noi passa solo una volta a settimana. Cosa avresti fatto? Non abbiamo più neanche i maiali».