Ama chi vuoi ma pagane le conseguenze, lavorative e non solo. La scelta del partner può influenzare negativamente le prospettive professionali dei lavoratori e delle lavoratrici italiane. Lo rileva uno studio Istat-Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Raziale), secondo cui il 26% delle persone omosessuali e bisessuali occupate o ex occupate ha dichiarato che il proprio orientamento sessuale l’ha svantaggiata nel corso della vita lavorativa in termini di avanzamenti di carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali. È invece meno diffusa l’impressione di uno svantaggio riguardo al livello del reddito.

 

 

Il campione – La rilevazione è stata condotta nel biennio 2020-2021 e ha preso in considerazione i membri della comunità Lgbt+ attualmente uniti civilmente o già separati che si dichiarano omosessuali o bisessuali: circa 20mila persone, pari al 95,2% del totale. La stragrande maggioranza delle persone occupate, attualmente o in passato, dichiara che il proprio orientamento sessuale è o era noto almeno a una parte delle persone del proprio ambiente lavorativo (92,5%), con un’incidenza minore tra le persone bisessuali (l’86,2%). Tuttavia, il 40,3% riferisce di aver evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale (41,5% tra le donne, 39,7% tra gli uomini). Una persona su 5 afferma di aver evitato di frequentare i colleghi nel tempo libero proprio per non dover rivelare il proprio orientamento sessuale.

Le ostilità sul luogo di lavoro – La popolazione delle persone in unione civile o che lo sono state in passato, omosessuali e bisessuali, che vive in Italia si caratterizza per un’elevata partecipazione al mercato del lavoro. Grazie al livello di istruzione elevato e al profilo maturo, la stragrande maggioranza è occupata (77%) o per lo meno lo è stata in passato (25%) e solo una quota irrisoria non ha mai lavorato (0,5%).Il 60% però ha subito almeno una micro-aggessione in ambiente lavorativo. Per micro-aggressione, si legge nel rapporto Istat-Unar, si intendono «messaggi o interscambi denigratori nei confronti di qualcuno in quanto appartenente a un gruppo. Oppure insulti sottili diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio. La più diffusa è “aver sentito qualcuno definire una persona come “frocio” o usare in modo dispregiativo le espressioni “lesbica”, “è una cosa da gay” o simili».
Con l’aumentare della gravità degli episodi l’incidenza scende. Il 30% degli intervistati dichiara di essere stato discriminato in quanto omosessuale o bisessuale mentre cercava impiego. Cioè, di vedere preferita una persona eterosessuale pur a parità di curricula. Una persona su cinque, invece, racconta di aver sperimentato atteggiamenti ostili e aggressioni sul luogo di lavoro, come ad esempio umiliazioni, calunnie, offese ma anche esclusioni da riunioni, minacce e offerte di tipo sessuale. Il 34% ha subito una discriminazione esplicita. Tra le più comuni essere demansionati, sottopagati, o mancate promozioni. Ma anche finire in cassa integrazione o vedersi negati congedi senza giustificazione. L’1,1% ha subito un’aggressione fisica da parte dei colleghi, anche se non necessariamente ricondotta dal rispondente a motivi legati all’orientamento sessuale.

 

 

Oltre al lavoro – Anche uno studente su due dichiara di essere stato discriminato, sia a scuola che in università. In altri ambiti di vita, il 38,2% dichiara di aver subito, per motivi legati al proprio orientamento sessuale, almeno un episodio di discriminazione in altri contesti (ricerca casa, rapporti di vicinato, fruizione servizi socio-sanitari, uffici pubblici uffici pubblici, mezzi di trasporto negozi o altri locali). Oltre il 68,2% ha dichiarato che è capitato di evitare di tenere per mano in pubblico un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato. Il 52,7% di esprimere il proprio orientamento sessuale per paura di essere aggredito, minacciato o molestato. Con riferimento agli ultimi tre anni, l’incidenza di chi ha affermato di aver subito minacce per motivi legati all’orientamento sessuale, escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, è pari al 3,9%. Le aggressioni di tipo violento vengono segnalate invece dal 3,1%. Le offese legate all’orientamento sessuale ricevute via web sono riportate dal 13% delle persone omosessuali e bisessuali in unione civile o già in unione che vivono in Italia.