«Il dibattito sull’identità di genere è un nodo che nel nostro Paese non riusciamo ad affrontare in maniera efficace». Mentre il resto del mondo va avanti, noi rimaniamo indietro: questo il senso delle parole di Gabriele Piazzoni, segretario nazionale dell’Arcigay. Dagli Stati Uniti è appena arrivata la notizia che per la prima volta in un’assemblea legislativa statale è stata eletta una rappresentante trans, mentre in Germania la Corte costituzionale ha riconosciuto il “terzo sesso”. Per entrambe le vicende la domanda sorge spontanea: sarebbe potuto accadere anche in Italia?

«Opposizione e ostilità» – «L’Italia ha iscritte nella sua storia repubblicana figure come quella di Marcella Di Folco, prima transessuale eletta a una carica pubblica, e Vladimir Luxuria, transessuale eletta alla Camera dei Deputati – spiega Piazzoni, da due anni alla guida dell’associazione nata nel 1980 a tutela dei diritti LGBT – Purtroppo però non possiamo affermare che l’Italia, sul tema dell’identità di genere, si sia mostrata negli anni successivi all’altezza di quelle due pionieristiche esperienze». Secondo il segretario dell’Arcigay, negli ultimi anni il panorama si sta facendo ancora più fosco. «Stiamo attraversando anni di profondo arretramento, in cui la problematizzazione delle questioni di genere incontra un’opposizione e un’ostilità del tutto inedite – spiega Piazzoni – In questo senso le due storie che ci provengono oggi dalla Germania e dagli Stati Uniti ci ricordano con chiarezza dove sta l’obiettivo e l’urgenza di uscire dal guado in cui ci troviamo. La visibilità delle persone trans e il loro accesso ai ruoli della rappresentanza, assieme alla messa in discussione del binarismo sessuale, nell’ottica di includere chi in quel binarismo non si riconosce, restano mete che dobbiamo raggiungere. E questa deve essere la nostra sfida».

La prima volta degli Usa – Il suo sfidante, il repubblicano Bob Marshall, aveva alle spalle venticinque anni alla Camera dei delegati della Virginia. Eppure, alla fine, l’ha spuntata lei: Danica Roem è la prima persona transgender eletta in un’assemblea legislativa statale negli Stati Uniti. Trentatré anni, rappresentante del Partito Democratico, Roem ha voluto che la sua campagna elettorale non si concentrasse sulla sua identità di genere, ma piuttosto su politiche concrete. «Non dovremmo essere etichettati come quelli che combattono solo per i bagni – ha commentato Roem – Le persone transgender hanno buone idee per quanto riguarda le politiche pubbliche, dai trasporti alla sanità, dall’istruzione ai diritti civili». La rottura col passato è ancora più netta se si considera che il suo predecessore nel “parlamento” della Virginia, Marshall, era un forte oppositore dei diritti LGBT: negli scorsi mesi aveva presentato una proposta di legge per impedire agli studenti trans di usare il bagno che preferivano e per obbligare i dirigenti scolastici a informare i genitori degli alunni se qualcuno dei ragazzi avesse sollevato questioni di genere. Durante la campagna elettorale si è sempre rivolto a Roem usando il maschile.

Né maschio, né femmina: “divers” – E una piccola rivoluzione arriva anche dal cuore dell’Europa. La Corte Costituzionale tedesca si è pronunciata sul riconoscimento e sulla tutela del cosiddetto “terzo sesso”. E ha stabilito che essere costretti a registrarsi all’anagrafe e nei documenti ufficiali come maschio o femmina, quando non si è né maschio né femmina, è una violazione del diritto della persona, tutelato dall’articolo 2 della Costituzione. Da oggi in poi – hanno stabilito i giudici togati dell’alta corte di Karlsruhe – il legislatore dovrà garantire ai cittadini una terza opzione (che potrebbe essere definita “inter” o “divers” o semplicemente “altro”), oppure rinunciare alla registrazione del sesso. Il governo ha dichiarato la propria «piena disponibilità a convertire in legge la delibera» della Corte.

La storia di Vanja – Il risultato è il frutto della battaglia di Vanja, cittadina tedesca intersessuale. Nata con un corredo cromosomico atipico che non permetteva di definirla né uomo né donna, Vanja era stata registrata all’anagrafe con il sesso femminile. Nel 2014 aveva chiesto di modificare la sua iscrizione, inserendo l’opzione “inter/divers”, ma la sua richiesta era stata respinta in tutti i gradi di giudizio, fino alla Corte di cassazione federale. Il suo ricorso alla Corte costituzionale ha fatto emergere una questione che in Germania coinvolgerebbe decine di migliaia di persone: si stima che nel Paese gli intersessuali, cioè i soggetti che presentano cromosomi sia maschili che femminili, siano tra gli 80mila e i 120mila. Un primo traguardo su questo tema era arrivato nel 2013, quando è stata introdotta la legge che prevede la possibilità di non indicare alcun genere sessuale nella registrazione dell’atto di nascita, quando il genere del neonato è incerto.