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Salvatore Buzzi, intercettato dai carabinieri, spiega a una collaboratrice come il sistema di Mafia Capitale facesse affari con gli appalti sui rom, con l’emergenza alloggi e l’accoglienza dei migranti

In un tribunale blindato da militari e polizia penitenziaria, affollato di fotografi, giornalisti e curiosi, il primo a entrare dall’ingresso per il pubblico è un ex dipendente delle cooperative di Salvatore Buzzi: “Ho perso il lavoro e mi sono costituito parte civile, sono venuto a vedere questi delinquenti”. Ma davanti alla decima sezione penale di Roma i due protagonisti più attesi non ci sono, almeno fisicamente. Salvatore Buzzi e Massimo Carminati assistono alla prima udienza del maxiprocesso Mafia Capitale in videoconferenza, rispettivamente dal carcere di Tolmezzo e da quello di Parma.

L’ex terrorista nero, considerato il vertice dell’organizzazione, e il ras delle coop romane sono alla sbarra insieme ad altre 44 persone tra politici, ex membri della banda della Magliana, imprenditori e faccendieri. Farebbero parte, secondo l’accusa, dell’associazione di stampo mafioso che fino a un anno fa ha alterato e controllato appalti per centinaia di milioni di euro a Roma e nel Lazio. Il tutto corrompendo funzionari, amministratori di società e politici attraverso l’intimidazione e imponendo una condizione di assoggettamento e di omertà. A undici mesi dai primi arresti, inizia la fase del dibattimento con la prima delle 136 udienze previste da qui a luglio.

Tra i politici coinvolti ci sono Mirko Coratti (ex presidente del consiglio comunale di Roma), Pierpaolo Pedetti (consigliere comunale), Luca Gramazio (ex consigliere comunale e poi capogruppo Pdl in Regione), Giordano Tredicine (consigliere comunale), Andrea Tassone, (ex presidente del municipio di Ostia, poi commissariato per mafia). E poi Luca Odevaine, ex membro del Tavolo nazionale sull’immigrazione, accusato di aver favorito cooperative amiche nella concessione di appalti per l’accoglienza. Alla vigilia del processo ha ottenuto gli arresti domiciliari dopo 11 mesi di carcere, e attraverso il suo legale fa sapere di voler stare dalla parte delle autorità: “Ha commesso degli errori, ha ammesso le sue responsabilità e sta collaborando con i magistrati”. In effetti Odevaine ha già fornito alle procure di Roma e Catania una piena ammissione e molti elementi, raccolti nei quattro verbali degli interrogatori, per delineare un quadro chiaro dell’accordo tra le coop ‘29 giugno’ di Buzzi e ‘La cascina’ di Comunione e Liberazione per la gestione del Cara di Mineo.

Anche Massimo Carminati, che secondo la Procura di Roma sarebbe a capo del clan di Mafia Capitale, si dice pronto a parlare. “È intenzionato a difendersi in modo diverso dal solito, perché vuole chiarire molte cose”, ha annunciato il suo avvocato. Un atteggiamento nuovo per Carminati, che dal giorno dell’arresto non ha mai voluto collaborare con i pm. Meno conciliante il legale di Salvatore Buzzi, che ha annunciato un ricorso al Tar contro il divieto per il suo cliente di assistere alle udienze in aula. Buzzi, accusato di essere il gestore del sistema corruttivo, ha chiesto più volte il patteggiamento, finora senza fortuna.

Intanto il 3 novembre sono arrivate le prime condanne emesse in rito abbreviato, che peseranno anche sul processo. Agli imputati, tra cui il collaboratore di Buzzi Emilio Gammuto condannato a 5 anni e 4 mesi, il giudice ha riconosciuto l’aggravante dell’associazione mafiosa. Una ulteriore conferma della tesi della procura, dopo quelle già arrivate dal gip, durante le indagini preliminari, e del tribunale del riesame e della Cassazione, in fase di conferma delle misure cautelari.

Simone Gorla