Non si arresta la sequenza di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose dall’inizio del 2017. Ai sette provvedimenti già disposti da Palazzo Chigi, ora se ne aggiungono altri quattro. Si tratta dei comuni di San Felice a Cancello, in provincia di Caserta, e di Laureana di Borrello, Bova Marina e Gioia Tauro, tutti in provincia di Reggio Calabria. La decisione è stata presa dal Consiglio dei ministri l’11 maggio su proposta del ministro dell’Interno Marco Minniti, «per accertati condizionamenti dell’attività amministrativa da parte della criminalità organizzata».
I comuni coinvolti – Se a San Felice a Cancello e Laureana di Borrello è la prima volta che il consiglio comunale viene sciolto per infiltrazioni mafiose, diverso è il caso di Bova Marina e Gioia Tauro. Nel piccolo paese di 4 mila abitanti situato sulla punta dello Stivale era già successo nel 2012, quando l’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ne aveva disposto lo scioglimento a seguito delle dimissioni di oltre metà del consiglio comunale. Ma anche la decisione del Cdm dell’11 maggio non arriva inaspettata. A fine 2016 il sindaco di Bova Marina, Vincenzo Crupi, era stato arrestato con l’accusa di corruzione per alcuni appalti sulla raccolta dei rifiuti. Un’operazione, battezzata “Ecosistema” e condotta dall’Antimafia di Reggio Calabria, che aveva portato a 14 arresti e 4 fermi in tutta Italia.
Il caso di Gioia Tauro – Anche per l’importante centro portuale calabrese di Gioia Tauro si tratta di un film già visto. Lo scioglimento era già stato disposto nel 2008, quando l’allora sindaco dell’Udc Giorgio Dal Torrione era stato raggiunto da un avviso di garanzia per il reato di associazione mafiosa e, pochi mesi dopo, arrestato insieme al vicesindaco Rosario Schiavone e al sindaco di Rosarno Carlo Martelli. Una storia non dall’esito scontato, perché Dal Torrione è stato poi assolto in primo grado e in appello dal tribunale di Palmi. Confermate le condanne, invece, al boss di Gioia Tauro Giuseppe Piromalli e agli altri soggetti coinvolti. La seconda decisione di scioglimento arriva in piena campagna elettorale: il sindaco della città portuale calabrese, Giuseppe Pedà, era stato sfiduciato a larga maggioranza a fine 2016 ed erano già state indette elezioni anticipate. Un voto che, ora, dovrà essere rimandato.
Cosa succede ora? – In base all’articolo 143 del testo unico degli enti locali, lo scioglimento di un comune è disposto da un apposito decreto del presidente della Repubblica, previa delibera del Cdm e dopo un accurato accertamento effettuato dal prefetto competente. Terminato il lungo iter burocratico, il sindaco, gli assessori e tutti i consiglieri del Consiglio comunale perdono la carica. Nessuno di loro potrà essere eletto alle successive elezioni, per evitare che possano tornare a ricoprire lo stesso ruolo. La gestione dell’ente viene infine affidata a un’apposita Commissione, su indicazione del ministero dell’Interno.
I numeri del fenomeno – Era il 1991, in pieno clima stragista, quando è stata introdotta nel nostro ordinamento la norma sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose. Da allora, e dopo numerose modifiche alle regole (ora si fa riferimento agli articoli 143-146 del testo unico degli enti locali) sono stati emanati 282 decreti di scioglimento (23 quelli annullati), cui se ne aggiungono quattro dopo la decisione del Consiglio dei ministri dell’11 maggio.
(Mappa realizzata da Avviso Pubblico, la rete degli enti locali per la formazione civile contro le mafie)