“Paura“, “Italia infetta“, perfino “strage“. Molti giornali hanno riempito le prime pagine sull’epidemia italiana di coronavirus con parole da fine del mondo. Sicuramente la situazione è seria, il numero dei contagiati continua ad alzarsi e intere cittadine sono in quarantena. La gente riempie i supermercati e svuota le metropolitane, a Milano scene surreali di vagoni vuoti nelle ore di punta. Su Facebook post all’apparenza contrastanti di esperti aumentano la confusione. Cosa dovrebbe fare il mondo dell’informazione in questa situazione mai vista prima?
«Chiarezza sulle vittime e sulla quarantena» – Secondo Graziella Messina, docente di istologia presso il dipartimento di Bioscienze della Statale, ciò che conta adesso è fare chiarezza sui rischi: «La conta giornaliera di morti e contagi serve a poco e crea solo paura. Le cinque vittime finora (ore 12 del 24 febbraio ndr) erano molto anziane e spesso con altre patologie. Stessa cosa per i casi gravi finiti in terapia intensiva. Si parla di una ventina di casi, che sono molti per qualche centinaio di infezioni, ma chi sono?», domanda la professoressa, «Anziani o giovani? Erano persone sane o indebolite da altri problemi? Mantenendone l’anonimato, queste sono informazioni chiave per capire l’entità del pericolo e dovrebbero essere diffuse al pubblico, dalle autorità e dai giornalisti». La stessa chiarezza è richiesta da Messina per far capire i veri motivi della quarantena imposta a vari comuni del Lodigiano più Vo’ Euganeo in Veneto. «Il problema del virus non è la sua letalità attuale, relativamente bassa. Il pericolo sta nella velocità di contagio. Il sistema sanitario locale è già al limite per posti letto, materiali e personale. Un rapido aumento dei casi impedirebbe di assistere tutti, peggiorando le condizioni dei pazienti con complicazioni». E sui dibattiti via Facebook tra esperti che ne pensa? «La discussione è una parte fondamentale della scienza. Purtroppo a volte dimentichiamo che discutere sulla piazza virtuale davanti a tutti non è la stessa cosa che farlo tra noi in convegni ristretti. Ci dovremmo tutti limitare e comunicare al pubblico solo i risultati e non il dibattito che li ha generati. Non per censura», sottolinea, «ma perché più semplice e comprensibile».
«Completezza per evitare complottismi» – «Dire chiaramente quello che si sa, quello che è certo, quello che dobbiamo scoprire, ammettendo anche quello che non sappiamo». Questa la formula di Nicla Panciera, giornalista scientifica per LaStampa e D(Repubblica) per una corretta comunicazione sulla malattia. «Il pubblico può ignorare molte cose, ma non è stupido», continua la giornalista, «e capisce quando non gli viene data un’informazione completa. Allora, per completare il ‘puzzle’ della notizia, si cercano i pezzi mancanti per conto proprio, su internet e su qualsiasi fonte capiti sotto mano. È così che nascono fake news e complottismi. Per evitarlo, un caso complesso come questo va spiegato in ogni sua parte, senza tralasciare nulla». Una cosa invece da tralasciare, secondo Panciera, è trattare la scienza come la politica: «Bisogna assolutamente evitare di alimentari dibattiti. È normale che diversi scienziati abbiano i loro punti di vista leggermente diversi tra loro. Invece di riportare le posizioni di ognuno e creare controversie scientifiche laddove non esistono, noi giornalisti dobbiamo riportare il punto di vista unitario sulla questione».