Partite, film, serie tv e canali televisivi a pagamento per un totale di più di 130 mila contenuti in streaming, il tutto per un abbonamento da circa 10 euro. L’operazione anti pirateria, coordinata dalla Procura di Catania, ha portato alla luce un giro d’affari di oltre 250 milioni di euro mensili. “Taken Down” – così è stata soprannominata l’inchiesta che ha coinvolto, oltre alle forze dell’ordine italiane, anche quelle di Regno Unito, Olanda, Svezia, Svizzera, Romania e Croazia – ha portato a 89 indagati in Italia e 11 arresti all’estero.
Iptv – La rete di pirati informatici sfruttava un sistema simile ai franchising, in cui i rivenditori comprano dalla casa madre, in questo caso i capi dell’organizzazione, dei pacchetti da rivendere agli utenti. Gli utenti ricevevano il segnale tramite stazioni di smistamento – le Iptv, che sta per Internet Protocol Television – che a loro volta ricevevano il flusso di contenuti attraverso dati rubati o ottenuti tramite prestanome. L’inchiesta della Procura è partita proprio da una di queste Iptv, scoperta dal Centro operativo per la sicurezza cibernetica di Catania. I pirati digitali sfruttavano tre server, localizzati a Hong Kong, in Romania e in Cina: uno strategemma per far rimbalzare il segnale, così da renderlo difficilmente rintracciabile prima di indirizzarlo all’utente finale. Due di questi server sono stati disabilitati dalle forze dell’ordine.
Il cartello europeo – Quello dei contenuti in streaming illegati è un giro d’affari che per la criminalità organizzata è più sicuro dello spaccio o della violenza da strada, ma altrettanto redditizio. L’organizzazione è stratificata, come in un cartello della droga: il reseller si trova al livello più basso, sia per importanza sia per guadagni, pari a circa 7-8 euro ad abbonamento venduto. Il suo compito è quello di acquistare i pacchetti di abbonamenti e rivenderli al pubblico sfruttando i prezzi bassi. A mettere in collegamento i reseller con i piani alti dell’organizzazione c’è il master, il cui lavoro è simile a quello del rivenditore, con un guadagno leggermente più alto, circa 9 euro, in virtù dei suoi contatti con gli admin. A questo livello della scala gerarchica i guadagni salgono e si arriva a 300-500 euro al mese per ogni ripetitore da vendere all’utente. A guidare tutti il boss che si occupa direttamente dei canali di diffusione dello streaming illegale. Per lui il guadagno può essere di circa 500 euro a settimana.
Danno economico – Il bilancio annuo ricostruito dagli operatori della Polizia Postale della rete sotto inchiesta risalirebbe a circa 3 miliardi di euro, con 22 milioni di utenti abusivi, che ora rischiano una sanzione. Un danno economico ingente e di gran lunga maggiore è quello segnalato dai colossi dello streaming: Netflix, Disney+, Sky e Dazn. Solo per l’Italia stimano perdite per circa 220 milioni di euro. La pay-tv del calcio ha inoltre annunciato di voler portare in tribunale anche gli abbonati ai servizi illegali, oltre ad agire contro l’organizzazione criminale.
Europa – L’inchiesta non si è limitata solo all’Italia, ma ha interessato anche altre nazioni europee. I boss da Sicilia, Romania, Croazia, Inghilterra e Olanda si incontravano ad Amsterdam per decidere sorti e mosse dell’organizzazione. Secondo un report dell’Euipo – l’ufficio dell’Ue per la proprietà intellettuale – l’Italia, per quanto riguarda la pirateria, è migliorata, diventando la nazione con il minor numero di accessi a streaming illegali in Europa. Guardando oltre oceano non sembra esserci un problema così ampio per quanto riguarda la pirateria: i prezzi economici degli abbonamenti sembrano in grado di arginare il problema negli Usa. Per un cittadino americano ci vogliono 149 dollari all’anno per vedere tutta l’Nba senza pubblicità, una cifra decisamente minore rispetto ai 500 euro necessari in Italia per la Serie A di calcio.