Giochi, suonerie, oroscopi attivati a insaputa dei consumatori. La decisione del Giudice per l’udienza preliminare (Gup) Sofia Fioretta, su una presunta maxi truffa telefonica da 99 milioni di euro che coinvolge alcuni manager delle compagnie WindTre e Pure Bros Mobile, non potrà avvenire prima dell’11 luglio. È stata infatti fissata un’udienza alla Corte d’Appello per una richiesta di ricusazione. Le parti chiedono cioè la sostituzione del giudice perché la sua imparzialità potrebbe venire meno. La Corte deciderà quel giorno se il Gup potrà procedere e quindi prendere un provvedimento di rinvio a giudizio o di non luogo a procedere. Se invece non autorizzerà il gup ad andare avanti, il processo dovrà ricominciare con un altro giudice. Lunedì 19 giugno gli avvocati hanno presentato davanti al giudice Fioretta tutte le prove in difesa dei loro assistiti, tra cui Alessandra Lavezzari, Luigi Saccà e Fabio De Grenet, dirigenti di WindTre, e Angelo Salvetti legale di Pure Bros Mobile, società non indagate. Il 30 giugno la Procura replicherà. Sarà poi fissata un’altra data per le repliche della difesa.

L’inchiesta – Al centro di tutto ci sono i cosiddetti Vas (value added service), servizi premium come notizie, gossip o video attivati dai clienti a loro insaputa dal 2017 a giugno 2020. Sono contestati ad alcuni dirigenti di società telefoniche (responsabili civili) reati come frode informatica con furto e indebito utilizzo dell’identità digitale e tentata estorsione contrattuale. Secondo la Polizia Postale, la Guardia di Finanza e la squadra reati informatici della Procura, che hanno condotto gli accertamenti, ci sarebbero state 30 o 40mila attivazioni al giorno, per una media di 5€ estorti a settimana ai clienti. Le indagini, condotte dal procuratore Francesco Cajani e dal procuratore aggiunto Eugenio Fisco, erano all’inizio a carico di 33 persone. Alcuni degli indagati hanno patteggiato nel corso delle indagini mentre altri due hanno proposto istanza di patteggiamento al gup.

Il “sistema” – Secondo quanto ricostruito dai pm, bastava ritrovarsi su una pagina web per vedersi addebitata una somma di denaro sul proprio conto telefonico in cambio di vari tipi di contenuti. L’inchiesta aveva portato ad accertamenti anche su Tim e Vodafone. Oltre alle compagnie telefoniche, che avrebbero incassato la metà dei 99 milioni (di cui 40 già sequestrati), erano state individuate altre 26 società di “content service provider”. Questo ha portato la Procura a definire un “sistema” la rete di prelievo di denaro ai danni dei clienti. Gli atti dell’inchiesta erano stati trasmessi all’Agcom che con una delibera del 2021 aveva regolato il mercato dei servizi Vas. A denunciare il fatto, era stata la società DigitalApp nel 2018.