statua della giustizia

Statua della Giustizia (foto Flickr/glamismac)

Giustizia come autorità terza, imparziale e uguale per tutti? Non andava così negli uffici giudiziari di Napoli, dove i fascicoli processuali sparivano a comando. O meglio, a mazzette. Soldi in cambio di carte scomode che non avrebbero mai visto la luce. A sparire erano interi fascicoli o singoli atti. L’iter giudiziario rallentava e si arrivava così alla prescrizione o alla scadenza dei termini di custodia cautelare, a tutto vantaggio dei boss della camorra.

Quello messo in piedi da avvocati, dipendenti e cancellieri partenopei era un sistema di corruzione organizzato in maniera efficiente, con prezzi diversi a seconda dei fascicoli da manipolare. Le indagini della Procura napoletana hanno svelato «un diffuso e inquietante fenomeno di corruzione», come lo ha definito il procuratore aggiunto di Napoli, Alessandro Pennasilico.

Sono 45, finora, le persone indagate dalla Procura, mentre per altre 26 è scattato l’ordine di custodia cautelare: tre di loro sono stati trattenuti in carcere, mentre 22 sono già agli arresti domiciliari. La Procura ha anche emesso una misura interdittiva.

Nelle ordinanze si leggono, a vario titolo, accuse di associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari, violazione del segreto istruttorio, occultamento di fascicoli processuali e accesso abusivo ai sistemi informatici. Agli atti ci sono filmati e intercettazioni, che proverebbero lo scambio di denaro avvenuto negli uffici della Corte d’Appello e del Tribunale di Sorveglianza.

Le indagini del pubblico ministero e della Guardia di Finanza continuano, con la perquisizione delle abitazioni e degli studi di avvocati coinvolti. Quattro, finora, i legali per cui sono scattati gli arresti domiciliari: Giancarlo Di Meglio, Fabio La Rotonda, Giorgio Pace e Stefano Zoff. Identica misura cautelare per un ispettore di polizia del commissariato Vicaria-Mercato. Avrebbe sostituito le relazioni negative del Tribunale di Sorveglianza con altre più favorevoli. Insomma, ci metteva una buona parola. E i boss ottenevano benefici.

In carcere due dipendenti della Corte d’Appello, Mariano Raimondi e Giancarlo Vivolo, e un faccendiere, Vincenzo Michele Olivo. La misura interdittiva, invece, riguarda un consulente tecnico iscritto all’albo del tribunale e della procura: avrebbe compilato, dietro pagamento, una perizia psichiatrica a beneficio di un plurindagato.

Susanna Combusti