«Nel raccontare i femminicidi i media spesso disattendono i principi deontologici, optando per il sensazionalismo e la vittimizzazione secondaria». A pochi giorni dalla condanna all’ergastolo di Filippo Turetta per il femminicidio di Giulia Cecchettin, la sociolinguista Vera Gheno individua gli errori in cui spesso, secondo lei, i media incorrono nel parlare di violenza sulle donne: «Si cercano spiegazioni, si colpevolizza la vittima, si indugia su particolari privati». E spiega: «La violenza di genere è un problema sistemico, non si può raccontare ogni singolo episodio come un’eccezione. Chi commette un femminicidio non è una mela marcia fuori dalla società: la violenza di genere fa parte della nostra cultura».Per questo, secondo la linguista e attivista, è fondamentale riconoscere l’importanza della lingua. E a chi sostiene ci siano problemi più urgenti risponde: «Per parlare di quei problemi dobbiamo usare le parole. La lingua è fondamentale, l’importante è ricordarsi che non si può lavorare solo sul piano della parola, ma anche sul piano del reale».

«Le parole non sono una questione collaterale, non sono un orpello, ma un tramite per parlare di qualsiasi istanza» sottolinea Gheno. «Tuttavia, come dice il mio collega Federico Faloppa, se noi lavoriamo solo sul piano della parola staccandolo da quello della realtà non facciamo un buon servizio a nessuno». L’azione politica e linguistica, quindi, deve muoversi sempre in parallelo sui due piani, e considerare le istanze delle comunità coinvolte: «Le lingue devono rimanere inchiodate alla realtà, altrimenti si cambiano le parole ma non ciò che c’è sotto. Essere politicamente corretti significa tenere conto della varietà umana e cercare di esprimersi nella maniera meno offensiva possibile, senza sfociare nel terrore semantico».