Più 1.524. È l’aumento di persone in carcere negli ultimi sei mesi (fino al 30 aprile 2017). Un aumento che ha portato la popolazione detenuta alle 56.436 unità e che dà il titolo al XIII rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone: “Torna il carcere“. Un documento che, come ogni anno, fotografa i dati, le condizioni e le caratteristiche dei 190 istituti penitenziari italiani. E che quest’anno vuole sottolineare come i numeri del carcere siano tornati a crescere, analizzandone cause e conseguenze.

La crescita. Dopo un calo significativo della popolazione carceraria nel corso degli ultimi anni (da 68mila detenuti nel 2010 si era passati a 52mila nel 2015), l’associazione registra ora una tendenza consolidata e in progressiva accelerazione all’aumento dei numeri. «Se i prossimi anni dovessero vedere una crescita della popolazione detenuta pari a quella registrata negli ultimi sei mesi, alla fine del 2020 saremmo già oltre i 67mila», si legge nel rapporto.

Le cause. Perchè si finisce in carcere? Un reato su quattro è contro il patrimonio, il 17,8 per cento contro la persona mentre il 15 per cento sono reati legati a violazioni delle normativa sulle droghe. Aumentano i detenuti con condanne inferiori ai tre anni (24,3%) e diminuiscono le condanne superiore ai dieci (28,6%), mentre l’Italia resta il quinto paese dell’Ue per numero di persone in custodia cautelare (in attesa di sentenza definitiva): si tratta di un carcerato su tre (34,6%). La stessa percentuale riguarda gli stranieri: in aumento rispetto al 2015 (34,1% ad aprile 2017), con marocchini (18,2%), romeni (14,1%), albanesi (13,6%) e tunisini (10,5%) che costituiscono i gruppi più numerosi. Una crescita complessiva dei numeri che non corrisponde però, secondo quanto emerge dal rapporto, ai reati commessi in Italia: tra il 2014 e il 2015 si registra il 10,6% in meno di rapine e il 15% in meno di omicidi volontari; calano anche le violenze sessuali (-6%), furti (-6,9%) e l’usura (-7,4%). Come si spiega dunque l’aumento di detenuti? «Con l’avvicinarsi delle elezioni il tema della sicurezza, pur non trovando alcun fondamento reale nei dati, fa sempre presa sulla percezione dell’opinione pubblica e sta spingendo ad aumentare la forza repressiva verso le aree più marginali della società», ha detto Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, intervistata dal Fatto Quotidiano.

Le conseguenze. Tra le prime conseguenze individuate da Antigone c’è l’aumento del sovraffollamento delle carceri e i relativi danni che può provocare. Risale al 2013 la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Torreggiani) che ha condannato l’Italia per «trattamenti inumani o degradanti subiti da sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione». Ma il sovraffollamento rimane una realtà: «Dalla fine del 2015 alla fine del 2016 il tasso di affollamento è passato dal 105 per cento al 108,8 per cento, ed al 30 aprile 2017 eravamo già al 112,8 per cento», si legge nel rapporto. Una situazione che, in alcuni casi, può degenerare in casi di suicidio o autolesionismo. Nel 2016, 45 persone si sono uccise in carcere, spesso dopo essere state in isolamento, mentre nei primi mesi del 2017 sono già 19 le persone che si sono tolte la vita. Novemila invece i casi registrati da Antigone di autolesionismo nel corso dell’ultimo biennio. Un dato che va analizzato insieme a quello dell’assenza di personale non di custodia (e quindi medici, paramedici, psicologi. educatori, etc.) nel carcere. Ad esempio, mentre gli operatori di polizia penitenziaria sono l’89,36 per cento del personale presente negli istituti di pena italiani, gli educatori sono solo il 2,17 per cento.