“Mafia sucks”: la mafia fa schifo. È il nome dell’opera della street artist Laika apparsa nella notte del 23 gennaio fuori dalle porte del carcere Le Costarelle, L’Aquila. Un ragazzino vestito da fantino in groppa a un cavallo marrone. La mano alzata a formare il simbolo della pace. Si tratta di Giovanni Di Matteo, bambino strangolato e sciolto nell’acido nel 1996 su ordine di Matteo Messina Denaro, detenuto ora all’interno della casa circondariale abruzzese. L’artista, la cui identità è ignota, afferma: «A Matteo Messina Denaro auguro di vivere più giorni possibili nelle sue condizioni sapendo adesso, che proprio fuori dalla sua “gabbia” c’è raffigurata una delle sue vittime che esulta per la sua cattura».
Il vescovo di Mazara – A parlare di Matteo Messina Denaro è anche Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo: «Non è una persona per cui possiamo avere troppa pietà». Il Monsignore continua: «è uno che ha ammazzato tanto, ha sparso tanto sangue, ha ucciso tanti innocenti, il piccolo Giuseppe di Matteo, non credo possa pentirsi, che abbia voglia di parlare». Secondo Domenico Mogavero a parlare dovrebbero essere anche i cittadini di Campobello e di Mazara del Vallo. «Chi sa, parli […]. Non ci vuole tanto coraggio, ci vuole essere coerenti col proprio ministero», ha detto il Vescovo, il quale ha sempre lottato contro la mafia, a partire dal 2013 quando si rifiutò di celebrare i funerali del boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate. Negli anni passati aveva più volto rivolto degli appelli a Messina Denaro, invitandolo a costituirsi.
Le indagini – Continuano le perquisizioni nei covi del boss, l’ascolto delle telefonate dei suoi seguaci, l’analisi dei documenti ritrovati e degli spostamenti fatti nei 30 anni di latitanza. Nel covo in vicolo San Vito a Campobello di Mazara sono stati ritrovati foto di animali feroci, poster di Al Pacino nel film Il Padrino e un ritratto di Joker con a fianco la frase “C’è sempre una via d’uscita ma se non la trovi sfonda tutto”. Tra gli oggetti identificati dalle forze dell’ordine anche una calamita con la scritta “Il padrino sono io”. Nelle abitazioni o bunker del boss sono stati trovati anche alcuni abiti femminili.
I nomi del boss – Matteo Messina Denaro si faceva chiamare in diversi modi. Negli ospedali e nelle cliniche era Andrea Bonafede, nome del geometra che gli ha prestato identità e documenti per sottoporsi alle cure mediche. Nei paesi di Campobello e Mazara del Vallo i cittadini lo conoscevano come Stefano o Francesco. È proprio con questo nome che il suo autista, Giovanni Luppino, dovrebbe averlo conosciuto. Gli investigatori hanno confermato che avere più nomi lo aiutava a condurre una vita praticamente normale e a essere esposto a meno rischi. Le forze dell’ordine stanno cercando di ricostruire l’ultimo periodo di latitanza: sembra che Matteo Messina Denaro si fosse trasferito a Campobello già dal 2020.