«Messina Denaro ha avuto molti fiancheggiatori, a livello locale ma anche nazionale». Lirio Abbate, giornalista d’inchiesta che racconta la mafia da decenni, non ha dubbi: il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, catturato lunedì 16 gennaio 2023 dai carabinieri del Ros di Palermo, ha potuto rendersi irreperibile per trent’anni grazie a un’ampia rete di complici. Parlando con i praticanti del master in giornalismo Walter Tobagi, il cronista ha anche dedicato qualche battuta alla riforma della giustizia in queto momentio all’attenzione del governo Meloni: «Le intercettazioni? Uno strumento indispensabile alle indagini».

Lirio Abbate

Il giornalista Lirio Abbate (Wikimedia Commons)

Lirio, com’è possibile che le forze dell’ordine ci abbiano messo così tanto a prenderlo, considerando che, almeno negli ultimi tempi, il boss viveva a due passi da casa sua?
Intanto bisogna dire che lo Stato ha iniziato a concentrarsi su Messina Denaro dieci o quindici anni fa, dopo la cattura di Bernardo Provenzano. Poi Messina Denaro ha potuto contare su numerosi fiancheggiatori, e non solo locali. Basti pensare ad Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno dei governi Berlusconi II e III (2001-2006) originario di Trapani. D’Alì a dicembre è stato condannato in via definitiva a sei anni di carcere per favoreggiamento proprio di Matteo Messina Denaro. In più il boss è stato difeso dalla paura della gente del posto, che lo conosce e sa di cosa è capace, e dai molti che in quei luoghi si rivolgono a Cosa Nostra per risolvere i loro problemi. Per trovare lavoro, per esempio, oppure per recuperare crediti da clienti insolventi.

Della rete però non sembra fare parte la figlia Lorenza.
Lorenza ha vissuto per 18 anni segregata in casa con la mamma e la nonna, la madre di Messina Denaro, senza mai conoscere il padre. Al liceo aveva iniziato a vedere un ragazzo estraneo al mondo di Cosa Nostra e questa frequentazione aveva allarmato la famiglia. Erano seguite minacce e intimidazioni al ragazzo, che però aveva detto di essere pronto a rivolgersi alla polizia. L’ordine dei parenti di non incontrarlo più ha contribuito alla rottura tra la famiglia e Lorenza, che a 18 anni si è imposta ottenendo che lei e la madre si trasferissero altrove. Ora ha 26 anni ed è mamma di un bambino che, in contrasto con la tradizione, non porta il nome del nonno.

Come è stata affrontata la cattura di Messina Denaro sui giornali italiani? Per quanti giorni ancora se ne parlerà?
I quotidiani intanto l’hanno messo in prima pagina, e questo è positivo (ride). In generale la notizia è stata coperta bene, penso ad esempio al lavoro del Corriere e di Repubblica. Oggi (giovedì 19 gennaio 2023, ndr) se ne parla ancora perché è stato trovato e perquisito un secondo covo, ma, in assenza di nuovi elementi, nel fine settimana questo argomento andrà scemando.

Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido. Come descriveresti questo magistrato sconosciuto ai più?
Guido è uno che tende a stare defilato, ma è un fine giurista. Ha preso parte alla prima fase delle indagini sulla trattativa Stato-mafia, però si è sfilato perché non ne condivideva il metodo. In 12 anni, da quando gli è stato affidato il dossier su Matteo Messina Denaro, ha effettuato oltre 250 arresti per smantellare la rete del boss.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio vuole limitare l’uso delle intercettazioni. Questo può avere ripercussioni sulla lotta alla criminalità organizzata?
Le intercettazioni sono uno strumento indispensabile perché aiutano a individuare altri reati che poi portano alla mafia. Non si parte mai dalla mafia, perciò è sbagliato togliere le intercettazioni per reati come estorsione o corruzione che sono strumenti spesso utilizzati dai boss. Per quel che riguarda la loro pubblicazione, ci sono già gli strumenti per procedere in caso di diffusione indebita.