La condanna all’ergastolo e nove mesi di isolamento diurno: è questa la pena richiesta dalla pm Giovanna Cavalleri per Alija Hrustic, il 26enne imputato reo confesso della morte del figlio Mehmed, avvenuta a Milano nel maggio 2019. Durante la requisitoria del 17 maggio 2021 alla Corte d’Assise di Milano, il pubblico ministero ha sostenuto che la lesione alla testa del bambino, la principale causa di morte, «è stata inferta dal padre come ultimo atto di una notte di sevizie» e che l’imputato «non poteva non sapere che quell’azione lo avrebbe ucciso». Per questo, Hrustic è accusato di omicidio volontario, torture e maltrattamenti. È stata invece rifiutata la tesi difensiva della corresponsabilità della compagna Silvija Zahirovic.

La ricostruzione – Nonostante avesse più volte dichiarato di aver ucciso il figlio, Hrustic aveva tentato di correggere la versione dei fatti dicendo che Mehmed era morto per una caduta accidentale. Inoltre aveva cercato di coinvolgere la madre del bambino, secondo l’imputato responsabile di non aver fatto nulla per evitare la tragedia. La requisitoria di Cavalleri è stata tesa a smontare entrambe le dichiarazioni di Hrustic. In riferimento alla prima, per la pm «la chiave di lettura è il corpo del piccolo Mehmed». Le 51 lesioni, originate da colpi, calci e morsicature non sono compatibili con la versione di morte accidentale sostenuta dalla difesa. Si sarebbe piuttosto trattato di violenze prolungate – inferte entro le 48 ore –, fino al colpo alla testa, mortale. «È il corpo di un bambino ammazzato di botte» sintetizza Cavalleri, che ha anche definito «risibile l’idea di un intervento». Tratteggiato il ruolo di Hrustic, la pm ha ampiamente ricostruito anche quello della madre, che risulterebbe non solo innocente, ma anche persona offesa – nel processo è parte civile.

Silvija Zahirovic – «Anche la mamma picchiava Mehmed. Era la sua mamma che lo picchiava e lo trattava male. Io l’ho picchiato piano, mi sono preso io tutta la colpa, ma l’ha picchiato mia moglie. Mi sono preso io la colpa per mia moglie». Si era difeso così Hrustic davanti ai giudici, imputando parte della responsabilità per l’omicidio alla compagna. Una versione che però non ha trovato nessun riscontro in tribunale. Emerge invece come la donna, di solito dedita al furto, fosse in quei giorni in uno stato di semi reclusione: non poteva uscire ed era senza telefono. Hrustic temeva che chiedesse aiuto dopo alcuni episodi di violenza più intensi del solito, cominciati il 20 aprile. Da qui il ritardo nel chiamare i soccorsi la mattina del 22 maggio 2019. Secondo l’accusa sarebbe stata anche lei vittima di maltrattamenti, pur incinta del quinto figlio. Quando assumeva stupefacenti, e lo faceva spesso, Hrustic diventava paranoico e aggressivo, scaricando la rabbia sul figlio, soprattutto di notte. A poco servivano le precauzioni di Zahirovic, che faceva dormire i figli con sé e a volte non dormiva affatto: era la donna in un contesto culturale, quello dei rom, dove, ha insistito la rappresentante dell’accusa, «se non sei una brava moglie l’uomo può picchiarti», come hanno confermato i parenti di Hrustic  ascoltati come testimoni. La notte dell’omicidio la donna dormiva e si sarebbe svegliata solo quando il bambino era ormai in condizioni critiche. Avrebbe cercato di farlo respirare, per poi cadere in stato shock post traumatico. Ha detto la pm: «Prima del delitto, era totalmente dipendente da lui, non aveva un documento, non aveva nemmeno il medico di base tanto che quando suo figlio stava male, anche solo per una banale febbre, lei lo portava al pronto soccorso». E ha aggiunto: «All’epoca era totalmente isolata, e completamente assoggettata alla famiglia del marito che le diceva, anche dopo che era stato arrestato, di rispondere alle sue lettere dal carcere», tanto che la suocera l’avrebbe minacciata se il figlio si fosse ucciso in cella per colpa sua. «Solo dopo la nascita del suo ultimo figlio – ha concluso – questa donna è riuscita finalmente a uscire da quel contesto in cui veniva martellata».

Reati – Oltre alla pena per ergastolo, la pm ha calcolato una pena di 10 anni di reclusione per i reati di tortura e maltrattamenti, entrambi aggravati. Per questo, ha richiesto un inasprimento della pena con altri nove mesi di isolamento diurno. È la prima volta che il reato di tortura (art. 613 bis del Codice Penale) viene contestato per violenze in ambito familiare.