Calcio d’inizio tra polveroni di polemiche per i Mondiali Qatar 2022. Il torneo è al centro del dibattito internazionale per le questioni legate al mancato rispetto dei diritti dei lavoratori che hanno costruito gli stadi e per la criminalizzazione dell’omosessualità nel Paese ospitante più che per le performance atletiche (finora deludenti, almeno per quanto riguarda i padroni di casa). L’Italia non partecipa al campionato, ma si è molto discusso della scelta di personaggi e marchi famosi di boicottare l’evento sportivo per protestare contro la violazione dei diritti umani da parte del Qatar. Tra le posizioni ideologiche più dibattute spicca quella de Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, che ha scelto di non pubblicare alcun articolo inerente al torneo. Diverso è il caso del sito web IlFattoQuotidiano.it, che sta coprendo il campionato attraverso una linea critica e un taglio di denuncia sociale. Il direttore del giornale online Peter Gomez ha raccontato a La Sestina le due facce di questa stessa medaglia di protesta.

“Il Mondiale in Qatar ci fa schifo”, recitano i contenuti del Fatto.it. Perché allora non scegliere di seguire del tutto il silenzio del cartaceo?
Bisogna capire che c’è differenza tra il cartaceo e l’online. Siamo due testate diverse anche se appartenenti allo stesso gruppo editoriale. Il lavoro di Marco Travaglio è indipendente dal mio e viceversa. Spesso non abbiamo neanche il tempo di confrontarci su questioni di questo genere. I nostri lettori vogliono sapere cosa sta succedendo in Qatar andando oltre l’evento sportivo in sé. Non possiamo non parlare, per esempio, dell’Iran che durante la partita di oggi (lunedì 22 novembre) non ha cantato l’inno in segno di protesta e solidarietà con le manifestanti di Teheran. Sono cose che i nostri lettori vogliono sapere. E noi le raccontiamo. C’è poi da considerare che carta e web sono mezzi diversi. Io parlo con migliaia di persone (l’ultimo report di Audiweb dello scorso marzo mostra per la testata una media di 1.981.140 utenti unici giornalieri, ndr) che si rivolgono al Fatto.it non per leggere di sport, ma per trovare approfondimenti sulle ingiustizie sociali che circondano questo evento.

Il direttore de IlFattoquotidiano.it Peter Gomez Copyright: imago images/ZUMA Wire

Lei è d’accordo con la linea intrapresa dal cartaceo?
Sì. È un’iniziativa comprensibile e una presa di posizione molto forte. Per il giornale di carta funziona. Noi da parte nostra tifiamo Marocco e in ogni articolo subentra lo slogan #Questi mondiali ci fanno schifo. Carta e web in questo caso non c’entrano l’una con l’altro ma mostrano entrambi delle prese di posizione sul tema dei Mondiali.

Non crede che non parlare di ingiustizie possa aprire la strada a derive pericolose per il mondo del giornalismo?
Se c’è una cosa di cui non si può accusare Il Fatto Quotidiano è di non occuparsi di ingiustizie. Sul cartaceo si occuperanno di altre questioni altrettanto importanti mentre sui Mondiali stanno dando un segnale ben preciso.

La scelta editoriale dell’online di trattare solo trasversalmente i Mondiali costerà traffico al sito?
Non credo. Ed è comunque presto per fare una valutazione di questo tipo. I Mondiali sono appena cominciati e in ogni caso i nostri lettori non vengono sul Fatto.it per leggere di sport. Senza contare che questi Mondiali non interessano particolarmente il pubblico italiano non essendoci l’Italia in campo, quindi penso che l’impatto sul traffico sarà minimo

Cosa contesta al resto della stampa in merito alla copertura del campionato?
Il mondo dell’editoria sarebbe da criticare in generale. Sui Mondiali in Qatar bisognerebbe dire a qualcuno che a oggi siamo 8 miliardi di persone nel mondo e dovremmo finalmente capire che le scelte che prendiamo in Occidente hanno influenza anche sul resto del mondo. È ora di capire che c’è un motivo se c’è del risentimento nei confronti dell’Occidente. Io non mi prendo tutta la responsabilità dei motivi per cui questo risentimento esiste, ma capisco il perché sia così e sarebbe ora che riflettessimo sulle nostre scelte. Anche quelle editoriali.