«Aveva una capacità di entrare in sintonia con chi fotografava e con i soggetti delle sue storie». Così Lucia Rocchelli ricorda l’empatia del fratello Andrea, fotoreporter ucciso il 24 maggio 2014 in Ucraina. Parole ascoltate il 30 maggio a Milano durante l’anteprima della puntata de l’Ora di Legalità, la trasmissione di Loris Mazzetti che andrà in onda il 15 giugno su Rai 3

La famiglia – Oltre all’empatia, nel video la sorella Lucia sottolinea come Andrea fosse un professionista esperto, determinato e intransigente. Con una punta di orgoglio riporta il giudizio su suo fratello dato da Adriano Sofri: «Un veterano di 30 anni». Nonostante la giovane età, il fotoreporter aveva già documentato la Primavera araba in Libia e in Tunisia e la violazione dei diritti umani in Kirghizistan e in Inguscezia. «Io mi limito a fare degli scatti. Voglio lasciarmi sorprendere da ciò che la macchina riesce a catturare». Le parole di Andrea, lette da Loris Mazzetti, testimoniano il suo approccio al mestiere senza pregiudizi. Infatti Rino Rocchelli, il padre, ribadisce che il figlio «non era mai schierato». Ricorda che l’impegno civile del fotografo era nato da ragazzo quando era diventato insofferante nel fare le vacanze con la famiglia e aveva cominciato a farle in modo autonomo, andando anche in Africa. Secondo Lucia Signori, la madre, Andrea «non sceglieva storie banali, ma con un background fortissimo di valori, di drammi». Non trattava solo di guerra. In Russia si era offerto come fotografo a domicilio per alcune donne che volevano avere un loro ritratto. «Sceglieva storie di persone che molto spesso non avevano la possibilità di esprimersi», rincara la sorella.

Gli ultimi istanti – Volti disorientati, spaventati, terrorizzati. Sono quelli del giornalista francese William Roguelon e dell’ex dissidente russo 60enne Andrej Mirinov. Ritratti da Andrea Rocchelli negli ultimi istanti prima di morire. Forse per istinto, forse per paura, continuava a scattare mentre era sotto tiro. Roguelon, ferito, riuscì a scappare, mentre Mirinov fu decapitato dai colpi di mortaio. Si trovavano in un fosso, nell’Ucraina orientale, arrivati per documentare le sofferenze dei civili stretti nella morsa del conflitto tra separatisti armati filo russi e l’esercito di Kiev. Poco più in alto, da un’altura, un gruppo di irregolari ucraini continuava a sparare. Tra questi c’era l’italo-ucraino Vitaly Markiv, arrestato due anni fa a Bologna. In tasca aveva una foto dove appare vicino a una bandiera nazista e a persone che fanno il saluto romano. Da un anno, in concorso con ignoti, è sotto processo a Pavia e il 24 maggio il pubblico ministero ha chiesto una condanna a 17 anni. Poco prima si era svolta una marcia per chiedere verità circa l’uccisione di Andrea. All’iniziativa hanno partecipato anche la Federazione nazionale della stampa e l’Associazione lombarda dei giornalisti che, per la prima volta, sono riuscite a costituirsi parte civile in un processo dove la vittima non è un giornalista iscritto all’Ordine. Non rappresentano la persona, ma il valore dell’informazione. Libertà che è sotto attacco ovunque e, ancora di più, dove c’è una guerra.