Antonio Calderone in una foto d'archivio

«Mi chiamo Antonino Calderone. Ho 56 anni e ho molte cose da dire sulla mafia». Cominciò così la confessione di uno dei più noti pentiti, morto giovedì 10 gennaio, a 78 anni, nella località segreta oltreoceano dove da anni viveva sotto falsa identità. La notizia è stata data dal capo della polizia Antonio Manganelli, tra gli artefici della scelta del boss catanese di abbandonare Cosa Nostra e diventare, negli anni ’80, collaboratore di giustizia.

«Profondo conoscitore della realtà siciliana» ricorda Manganelli, «Calderone ci ha dato, scegliendo si smettere la pelle di mafioso, un grande contributo per la conoscenza del fenomeno». Con Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno e Francesco Marino Mannoia, Calderone fu tra i primi a collaborare con la magistratura in Sicilia. Fu lui ad accusare lo stesso Buscetta e a fornire alle autorità importanti informazioni sulle relazioni tra e Nitto Santapaola e i Quattro cavalieri dell’Apocalisse – così il giornalista Giuseppe Fava chiamò il gruppo di imprenditori composto da Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo, che controllavano le attività economiche di Catania.

Nel dicembre del 1986, chiuso in una cella a Marsiglia, Calderone decise di collaborare con la magistratura. Per parlare scelse Giovanni Falcone e le sue “confidenze” portarono a 867 pagine di deposizione e 160 mandati di cattura. Ai giornali disse: «Ho collaborato con Falcone perché è uomo d’onore». Prima di abbandonare nell’anonimato l’Italia, Calderone si preoccupò di far arrivare un ultimo messaggio proprio a Falcone: «Signor giudice, non ho avuto il tempo di dirle addio. Desidero farlo ora. Spero che continuerà la sua lotta contro la mafia con lo spirito di sempre. Ho cercato di darle il mio modesto contributo, senza riserve e senza menzogne… Penso di avere il diritto di rifarmi una vita e in Italia non è possibile. Con la massima stima, A.C.».

Dopo l’omicidio Falcone, «la cui condanna a morte – disse – era decisa da tempo ma ormai improrogabile», Calderone si lasciò andare a un’altra “storica” profezia: «Non ho dubbi. Potrà toccare a un magistrato, a un ministro, a un poliziotto. Cosa Nostra ha un taccuino con molti nomi da depennare. Per ognuno, prima o poi, arriva l’ora giusta». Poche settimane dopo, sarebbe arrivato l’attentato a Paolo Borsellino.

Silvia Morosi