Il Tribunale amministrativo del Lazio ha rinviato di otto mesi l’udienza per discutere sulla questione della vendita dell’olio di Cbd. A ostacolare la vendita nei negozi di cannabis light è stato un decreto del Ministero della Salute dello scorso 7 agosto, che ha inserito le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis” tra i medicinali soggetti a prescrizione medica. Secondo il ministro Orazio Schillaci, le goccine utilizzate soprattutto per combattere l’insonnia e lo stress dovrebbero essere vendute soltanto in farmacia. Anche il suo predecessore Roberto Speranza aveva tentato questa mossa con un decreto identico nel 2020, salvo sospendere la sua entrata in vigore in seguito alle proteste del settore. Anche questa volta imprenditori e commercianti hanno contestato la decisione, chiedendo al Tar del Lazio di annullare il decreto. L’udienza era attesa per il 16 gennaio, ma il Tribunale ha rinviato la seduta per acquisire il parere dell’Istituto Superiore di Sanità. In attesa della sentenza, il Tar ha comunque sospeso l’efficacia del decreto ministeriale: l’olio di Cbd può ancora essere acquistato presso i negozi di cannabis light, ma l’incertezza sul futuro preoccupa i titolari dei punti vendita.

I prodotti a base di Cbd in vendita presso il Sir Canapa Hemp Shop di Viale Umbria

Un terzo dei ricavi – «Quasi ogni anno scopriamo di non poter più vendere un certo prodotto», spiega Marco Russo, titolare di “Sir Canapa Hemp Shop” a Milano. «Prima dell’olio di Cbd era già successo con il Cbd da inalazione e con le cartine, quando sono passate sotto il monopolio di Stato. A me dispiace, perché all’improvviso non puoi più vendere prodotti che hai impiegato anni a introdurre sul mercato, spiegando ai clienti le loro caratteristiche». Se il decreto del Ministero della Salute fosse ritenuto legittimo, l’impatto sull’attività di Russo sarebbe notevole: «I nostri ricavi dipendono per un 30-40% dal Cbd. Qui vendiamo caramelle, oli, capsule, cristalli, creme, shampoo… A essere colpiti dal divieto sarebbero tutti i prodotti per il consumo orale». Anche Annalisa Parini, titolare del negozio “Buenavita” di via Donatello, teme di essere penalizzata da questa limitazione: «Il Cbd rappresenta un buon 25% del mio fatturato. Per i miei clienti sono diventata un punto di riferimento, perché sanno di potersi fidare. Ma nei giorni in cui il decreto era in vigore, prima del ricorso al Tar, ho dovuto esporre un cartello per spiegare che non potevo più vendere l’olio di Cbd. E a chi insisteva non potevo che suggerire di rivolgersi in farmacia».

L’olio di Cbd a uso cosmetico venduto nel negozio Heaven di viale Monza

Danneggiati – La restrizione alla vendita dell’olio di Cbd non colpirebbe solo i negozi di cannabis light ma l’intera filiera, come ricorda Anna Brambilla, proprietaria dell'”Heaven Cannabis Light & Coffee Shop”. «Noi ci abbiamo fatto l’abitudine e ci viene quasi da ridere se proviamo a indovinare cosa vieteranno la prossima volta. Per i fornitori, invece, è distruttivo non poter più vendere ai negozi i prodotti su cui hanno investito», spiega Brambilla. Tra l’entrata in vigore del decreto e la sospensione decisa dal Tar sono passate solo poche settimane, ma secondo Brambilla sono state sufficienti per obbligare i fornitori a sostenere spese ingenti: «L’unico modo per continuare a vendere il prodotto era certificare che fosse a uso cosmetico. Pur di lavorare i fornitori hanno investito su queste certificazioni, che alla fine non sono altro che un foglietto all’interno della confezione». A essere penalizzati, però, sono anche i clienti. «A chi fa uso di questo prodotto la notizia aveva messo molta agitazione, perché temevano che diventasse irreperibile. Già oggi le farmacie non riescono a soddisfare l’intero fabbisogno di cannabis terapeutica. Lo stesso succederebbe con l’olio di Cbd se non potessimo più venderlo noi», prosegue Brambilla.

Lo scaffale dedicato all’olio di Cbd all’interno di Buenavita

Chi resiste – I titolari dei negozi non sono ottimisti nemmeno in vista dell’udienza di settembre. «Scommetto che ci sarà un nuovo rinvio», dice Brambilla rassegnata, «e noi continueremo a lavorare senza sapere cosa aspettarci. Se ci fossero delle regole certe potremmo almeno adeguarci di conseguenza». Secondo Parini, il problema di fondo resta la disparità di trattamento tra i negozi di cannabis light e le altre attività economiche: «Sono consapevole che il nostro settore è in via di sviluppo e che molta legislazione deve essere sviluppata sulle nostre spalle, ma è assurdo è il Cbd sia paragonato a una sostanza stupefacente per dirottare la vendita sulle farmacie. Nel frattempo si continua a parlare di noi come “negozietti” e troppo spesso veniamo trattati come spacciatori». L’incertezza sul futuro, insieme al contesto generale di aumento dei prezzi, rende difficile la gestione di queste attività: «Molti negozi aperti durante il boom degli scorsi anni adesso stanno chiudendo. A resistere sono le persone che conoscono bene il settore e, soprattutto, sono spinte da una forte passione», spiega Russo.