mobbing3_grCi sono donne che scivolano per le scale, donne che sbattono contro una porta, donne che si ritrovano un occhio nero senza un motivo.  O forse un motivo c’è. La violenza contro il genere femminile è entrata a far parte del dibattito politico, come tema di grave allarme nazionale. Nel 2013, sono state uccise in Italia 128 donne tra i 15 e gli 89 anni, secondo i dati presentati mercoledì 26 febbraio 2014 a Roma dall’Osservatorio del “Telefono Rosa” all’interno dell’indagine “Le voci segrete della violenza 2013”. La ricerca ha analizzato i dati relativi alle 1.504 vittime che hanno contattato l’associazione che da 26 anni opera a livello nazionale nella lotta contro la violenza verso il genere femminile.

Ai numeri delle vittime di femminicidio, termine che serve per indicare l’uccisione di una donna per motivi legati alla sua identità di genere (“ammazzata in quanto donna”), vanno però aggiunti anche quelli di quante rimangono in vita e subiscono altre forme di soprusi. Dallo stalking alla violenza psicologica, dal mobbing agli abusi sessuali.

Nell’ultimo anno, dal primo agosto del 2012 al 31 luglio del 2013, le denunce per stalking sono state 9.116 (nel 77,3 per cento dei casi provenienti da donne), come emerge dai dati diffusi dal Viminale. Dall’entrata in vigore della legge 38 del 2009 sulle “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, il numero sale a 38.142.

Secondo l’Osservatorio nazionale sullo stalking (Ons), un italiano su cinque è stato vittima di molestie insistenti e uno stalker su tre è rimasto recidivo, anche dopo la denuncia (dati luglio 2013). Il persecutore nel 55 per cento dei casi è un partner o ex partner, nel 5 per cento un familiare, nel 15 un collega o compagno di studi, e nel 25 un vicino di casa. A preoccupare è “il numero oscuro” celato dietro ai dati ufficiali, dato che la maggior parte delle vittime non presenterebbe una richiesta d’aiuto o manifesterebbe intenzione di denunciare il persecutore.

Nell’ambiente di lavoro, secondo uno studio dell’Ispesl (Istituto superiore per la sicurezza e la salute sul lavoro), nel 2012 un milione e mezzo di persone avrebbe denunciato fenomeni di mobbing, esercitato  attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti da parte di colleghi o superiori. Il fenomeno, maggiormente presente al Nord, riguarda nel 52 per cento dei casi le donne, in particolare le impiegate.

Un dato che assume proporzioni allarmanti se, a fianco del numero delle violenze psicologiche ricevute fuori dalle mura domestiche, si aggiunge quello delle 6.743.000 donne tra i 16 e i 70 anni vittime di abusi fisici o sessuali nel corso della loro vita, il 14,3 per cento da parte del partner (dati Istat). Denunciato solo nel sette per cento dei casi.

Di fronte a queste statistiche, le associazioni concordano: bisogna smettere di affrontare il problema come se fosse una questione solo femminile. Per battere la violenza serve una vera consapevolezza e cultura della parità tra uomini e donne. Chiamare con il loro nome la prepotenza e non confonderla con amore o potere.

Silvia Morosi