«Volevo uccidere qualcuno. Ho scelto Leo perché aveva più o meno la mia età». Con queste parole Said Machaouat, 27enne italiano di origini marocchine, ha confessato ai carabinieri di Torino di aver ucciso Stefano Leo lo scorso 23 febbraio, in riva al Po, dopo essersi costiuito alla Polizia.

I pm – «Il movente che ci viene raccontato fa venire freddo alla schiena», ha detto il procuratore vicario di Torino, Paolo Borgna, dopo il fermo dell’omicida. «Volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse, i figli, toglierlo ad amici e parenti», ha detto Machaouat ai pm Ciro Santoriello ed Enzo Bucarelli. Il racconto del killer, attualmente in stato di fermo, coincide con le indagini finora condotte dai carabinieri, che hanno rintracciato l’arma del delitto dopo la deposizione.

Un omicidio inspiegabile – La mattina del 23 febbraio – Stefano Leo, 33enne originario di Biella, camminava su Lungo Po Machiavelli per andare a lavoro. All’improvviso un uomo, che aveva acquistato un kit di coltelli per non più di 10 euro, l’ha assalito con uno di questi, tagliandogli la gola. Nonostante la grave ferita, Leo è riuscito a salire per la scalinata che conduce in Corso San Maurizio e si è avvicinato alle macchine in transito nel disperato tentativo di farsi soccorrere. Ma non ce l’ha fatta. Per più di un mese gli inquirenti hanno brancolato nel buio, incapaci di ricostruire la dinamica dell’omicidio: a nulla sono servite le immagini riprese dall’unica telecamera attiva sul luogo del delitto, che ritraevano un uomo snello in fuga.

La vittima – Stefano, laureato in Giurisprudenza, si era trasferito a Torino da pochi mesi e si guadagnava da vivere lavorando in un punto vendita della K-way, in pieno centro storico. «Non aveva mai avuto problemi con la giustizia, né aveva mai fatto niente contro la legge», aveva spiegato l’amico di sempre, Sebastiano, all’indomani dalla scomparsa del ragazzo. A nulla sono servite le 500 lettere che parenti e amici hanno imbucato nelle cassette postali dei residenti in zona Murazzi, con cui imploravano chiunque avesse «un sussulto, un ricordo o una semplice associazione di idee», di segnalarlo al 112. Poi, dopo cinque settimane, l’improvvisa confessione di Said Machaouat, che ha perfino aiutato i carabinieri a rintracciare il coltello utilizzato per uccidere Stefano. Nello stesso giorno in cui l’assassino si è costituito, una processione di parenti e amici della vittima, accompagnati dalla sindaca Chiara Appendino, ha camminato lungo gli argini del Po in suo ricordo, agitando in aria centinaia di palloncini rossi. «Ci tenevo a essere presente a questa commemorazione per dare il segnale che la città è vicina alla famiglia di Stefano», ha detto la prima cittadina, che nei giorni scorsi il padre di Stefano aveva accusato di «assordante silenzio» rispetto alla tragedia.

Le indagini – E mentre i palloncini rossi sventolano per Stefano dalla balaustra del Lungo Po, le indagini sul suo assassino proseguono senza sosta. L’uomo, arrivato in Italia dal Marocco quando era ancora bambino, si era separato dalla moglie nel 2015 ed era seguito dagli assistenti sociali. Aveva un precedente per maltrattamenti in famiglia e attualmente vive a Torino senza casa e lavoro. Non risulta avesse problemi psichiatrici, nonostante abbia dichiarato ai pm di «soffrire di depressione».