Amanda Knox e Raffaele Sollecito (foto Ansa)

Quando la Cassazione ha letto la sentenza, l’avvocato Francesco Maresca, difensore della famiglia Kercher, ha chiuso il pugno in segno di vittoria. «Il processo di Amanda Knox è da rifare», ha annunciato la corte. La pronuncia era attesa già nella serata del 25 marzo, ma al termine di un’intera giornata di discussioni, i giudici avevano deciso di rimandare tutto alle 10 del giorno successivo.

Era il 3 ottobre del 2011 quando la Corte di Assise di appello di Perugia assolse Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di omicidio volontario per «non aver commesso il fatto». Il 5 dicembre del 2009 i due giovani erano stati condannati in primo grado rispettivamente a 26 e a 25 anni di reclusione per l’assassinio di Meredith Kercher, studentessa inglese di 22 anni brutalmente uccisa nella sua casa di Perugia, la notte di Halloween del 2007.

A distanza di quasi sei anni, la pronuncia della Cassazione avrebbe potuto segnare la conclusione di una vicenda che ha intrecciato i destini di tre famiglie tra Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Ma i giudici di Roma hanno accolto i ricorsi della Procura generale di Perugia e della famiglia della vittima, che chiedevano l’annullamento della sentenza d’appello – definendola «un errore macroscopico» – e l’avvio di un nuovo processo. È stato invece respito il ricorso della Knox per la condanna a tre anni – già scontati – per calunnia, per aver accusato dell’omicidio il suo ex datore di lavoro Patrick Lumumba.

Il caso, adesso, è riaperto: si ricomincia. A occuparsene, sarà la Corte d’Assise d’appello di Firenze, perché nel capoluogo umbro esiste una sola sezione del collegio di secondo grado. «La sentenza della Cassazione», ha spiegato il procuratore generale Luigi Riello «sarà come un binario sul quale la Corte di Firenze si dovrà muovere: dirà quali principi seguire per rinnovare il giudizio».

Quando è giunta la notizia, le lancette, a Seattle, avevano da poco passato le due del mattino. Amanda, che dopo l’assoluzione è tornata a vivere negli Stati Uniti, si è detta delusa ma non abbattuta, perché «consapevole della propria innocenza». «La battaglia continua», ha invece commentato Giulia Bongiorno, avvocato difensore di Raffaele Sollecito. «Questo processo è partito in salita e stiamo scalando un gradino dopo l’altro. Speravamo di sentire la parola fine, anche perché la sentenza di appello è stata coerente e logica. La decisione della Cassazione – ha concluso – non è comunque una condanna».

Giulia Carrarini