28 anni dopo arriva, forse, la svolta nell’omicidio di Nada Cella. Per l’assassinio della venticinquenne avvenuto a Chiavari (Genova) il 6 maggio 1996, tre persone andranno a processo il prossimo 6 febbraio. A finire sul banco degli imputati Annalucia Cecere, con l’accusa di omicidio volontario aggravato, il datore di lavoro di Nada, Marco Soracco, e la madre di questo, Marisa Bacchioni, accusati di favoreggiamento e falsa testimonianza per non aver fornito agli inquirenti tutte le informazioni in proprio possesso al fine di coprire Cecere. Secondo la tesi della pm Gabriella Dotto e del procuratore generale Mario Pinelli, Cecere, ex insegnante, avrebbe ucciso Nada Cella per motivi di rancore e gelosia, sia professionali che personali.
La riapertura del caso – A riaprire il caso nel 2021, una tesi di laurea della criminologa Antonella Delfino Pesce, che, riprendendo in mano le carte delle indagini, aveva rilevato una pista che riportava a Cecere, trasferitasi nel frattempo nel cuneese. Da lì la riapertura delle indagini, che a marzo aveva trovato lo stop della gip Angela Nutini: non luogo a procedere per Cecere, sulla base di quelli che la giudice ha considerato «non indizi, ma semplici sospetti». Adesso, però, la richiesta di riapertura della pm Gabriella Dotto è stata accolta, e per questo a febbraio si celebrerà un processo indiziario, poiché basato esclusivamente sul riesame di tutte le carte agli atti dal 1996, di tre testimonianze inedite e sul bottone rinvenuto sulla scena del crimine, che potrebbe essere l’unica firma lasciata dall’assassino di Nada. L’esame del Dna sui vecchi reperti, affidata al genetista Emiliano Giardina, non ha infatti prodotto esiti rilevanti.
L’omicidio – A trovare la venticinquenne Nada Cella in una pozza di sangue, la mattina del 6 maggio 1996, era stato il suo datore di lavoro, Marco Soracco. Gli errori che hanno portato questo caso a rimanere irrisolto sono iniziati sin dal momento del ritrovamento della ragazza. I paramedici chiamati da Soracco, una volta arrivati nello studio commerciale di via Marsala 14, avevano spostato i mobili nella stanza per prelevare la ragazza, in quel momento ancora viva: tutto questo, non considerando di operare su una possibile scena del crimine. Soracco, da parte sua, aveva riferito che Nada aveva probabilmente avuto un malore.
Prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, la madre di Soracco, Marisa Bacchioni, aveva ripulito il pianerottolo e le scale dell’ufficio dove si era svolto il delitto, inquinando le indagini e cancellando prove che si sarebbero forse potute rivelare fondamentali. Sulla scena del crimine era rimasto però un oggetto fondamentale: un bottone con una stella e la scritta “Great seal of the State of Oklahoma”. Uno identico è stato poi rinvenuto nella casa della donna che il prossimo 6 febbraio salirà sul banco degli imputati: Annalucia Cecere.
Le accuse – A ostacolare le indagini è stata la convinzione iniziale da parte degli inquirenti che la soluzione risiedesse nel “perfetto colpevole”: Marco Soracco. Per la fretta di chiudere un caso molto simile al delitto di via Poma, che si era consumato anni prima ed era rimasto irrisolto, gli inquirenti hanno fatto di tutto per smontare la difesa del commercialista e trovare un particolare che potesse incastrarlo. Anche per questo, all’epoca delle prime indagini Cecere è stata indagata per soli cinque giorni e poi prosciolta dopo un’analisi superficiale dei bottoni, che non aveva trovato riscontri tra quello sulla scena del crimine e i cinque rinvenuti nel suo appartamento. Ma è proprio quel particolare di soli 13 mm l’ultimo tassello delle accuse che negli ultimi anni hanno fatto riaprire il caso. La conferma che il bottone trovato nell’ufficio di Nada coincide con quelli di Cecere si è aggiunta alla testimonianza di chi ha dichiarato di aver visto una donna simile all’ex insegnante allontanarsi dallo studio di Soracco in motorino il giorno dell’omicidio. In più, c’erano state le intercettazioni delle telefonate della madre del commercialista Marisa Bacchioni, che raccontava di aver visto la donna scappare la mattina dell’omicidio dopo aver infilato delle cose nel proprio motorino.
Soracco e Bacchioni non hanno mai ammesso di essere a conoscenza di informazioni utili alla risoluzione del caso. Secondo l’accusa, Cecere avrebbe ucciso Cella perché era innamorata di Soracco e perché voleva il suo posto di lavoro da segretaria presso il commercialista. Soracco, da parte sua, avrebbe coperto Cecere perché la conosceva e frequentava con lei dei corsi di ballo.