«Ascoltiamo il grido dei piccoli che chiedono giustizia. Il popolo dei fedeli ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre». Così Papa Francesco ha concluso, giovedì 24 febbraio, il suo breve intervento introduttivo ai lavori del summit su «la protezione dei minori nella Chiesa». Sono 190 i rappresentanti religiosi presenti al Sinodo, tra i presidenti delle Conferenze episcopali della chiesa cattolica, i capi delle Chiese orientali cattoliche, i rappresentanti dell’Unione dei superiori generali e dell’Unione internazionale delle superiore generali e i membri della Curia romana e del Consiglio dei cardinali.

Segnale forte – Quattro giorni per trovare il modo concreto di debellare la pedofilia tra il clero, a pochi giorni dallo «spretamento» del cardinale McCarrick, l’ex arcivescovo di Washington riconosciuto colpevole di molestie sessuali su minori e adulti cui era già stata tolta la porpora nel luglio 2018. Un segnale forte dato dal Papa per inaugurare la linea dura da adottare nel summit. Linea dura confermata anche dalla relazione dell’arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle, che riconosce: «la mancanza di risposte da parte nostra alla sofferenza delle vittime, fino al punto di respingerle e di coprire lo scandalo al fine di proteggere gli abusatori e l’istituzione ha lasciato una profonda ferita nel nostro rapporto con coloro ai quali siamo inviati per servirli». A seguire, concludono la prima giornata dell’incontro, che ha per tema la “Responsabilità, trasparenza”, le prime video-testimonianze delle vittime: un uomo proveniente dal Sud America, una donna africana, un europeo dell’Est, uno statunitense e un asiatico.

Le vittime – «Eravamo in otto, dagli Usa alla Giamaica. È la prima volta che la Chiesa ci riceve come rappresentanti di associazioni di vittime di tutto il mondo e non solo singoli, e questa apertura al dialogo è già notevole, vedremo come va a finire… Io rappresento tutte le vittime italiane, la nostra associazione ne ha in carico 800», racconta Francesco Zanardi di 48 anni. Ne aveva 11 quando a Spotorno viene violentato dal viceparroco: «si chiamava don Nello Giraudo e durò tre anni». Nel 2010 Zanardi ha fondato «Rete l’Abuso» e prima dell’inizio dei lavori sperava di incontrare il pontefice, ma si è dovuto accontentare di due ore di colloquio, insieme agli esponenti delle altre associazioni delle vittime dei preti pedofili, con la squadra che guida il summit mondiale: il cardinale Blase Cupich, l’arcivescovo Charles Scicluna, i gesuiti Federico Lombardi e Hans Zollner. Dura la posizione di Zanardi  nei confronti della Chiesa Italiana: «Faccia chiarezza e imponga ai vescovi l’obbligo di denuncia. A Scicluna ho detto che devono cacciare chi ha coperto, come Delpini a Milano con don Mauro Galli e Sepe a Napoli con don Silverio Mura». Scettico, invece, Peter Isely, portavoce di «Ending clergy abuse», che scuote la testa: «Devono agire, dov’è il piano? Non c’è». Più fiducioso Juan Carlos Cruz, vittima del pedofilo cileno Karadima dimesso dallo stato clericale a settembre 2018: «Il Papa sta facendo quello che può, i vescovi lo seguano, ora o mai più».

Botta e risposta –  Padre Hans Zollner, uno degli organizzatori dell’incontro, assolve in parte la Chiesa, dichiarando che «oggi un vescovo rende conto direttamente solo al Papa. Significa che il Papa dovrebbe controllare 5.100 vescovi, il che non è possibile». I cardinali ultraconservatori Burke e Brandmüller, già firmatari dei «dubia» contro le aperture di Bergoglio, non perdono l’occasione di collegare gli abusi e gli episodi di pedofilia alla «piaga dell’agenda omosessuale nella Chiesa» e all’abbandono della «legge morale assoluta». Un affondo diretto a Papa Francesco che replica a stretto giro: «Coloro che passano la vita accusando, accusando, accusando, sono non dirò figli, perché il diavolo non ne ha, ma amici, cugini, parenti del diavolo».