Il padre e la madre di Pamela durante il processo (foto Ansa/Angela Rotini)

Il padre e la madre di Pamela durante il processo (foto Ansa/Angela Rotini)

Esultano i genitori di Pamela Mastropietro per la conferma dell’ergastolo a Innocent Oseghale, che tra il 29 e il 30 gennaio 2018 aveva violentato, ucciso e fatto a pezzi la loro figlia di 18 anni. «Siamo molto felici e orgogliosi della sentenza. Spero con tutto il cuore che venga confermata in Cassazione, ce lo auguriamo io e la madre», ha commentato il padre della ragazza, Stefano Mastropietro. Oseghale era stato già condannato all’ergastolo nel 2019 dalla Corte di assise di Macerata per omicidio e occultamento di cadavere. Il processo di appello bis conclusosi a Perugia riguardava solo l’aggravante di violenza sessuale, elemento escluso nel precedente dibattimento. Secondo il sostituto procuratore Paolo Barlucchi, «la cura di Oseghale nel lavare le parti del corpo di Pamela nelle quali aveva infierito per ucciderla e che potevano essere rivelatrici sia della somministrazione della droga sia del rapporto sessuale, fa comprendere la sua necessità di non lasciare traccia di sé». L’avvocato Rosario Matraxia, che assieme al collega Umberto Gramenzi ha difeso Oseghale, aveva chiesto l’assoluzione perché «il fatto non sussiste». «La giustizia», ha detto il legale, «non deve essere vendetta. Il fatto è orribile, l’imputato è stato condannato per i reati commessi, la condanna di omicidio è stata affermata irrevocabilmente, ma il reato di violenza sessuale non è provato».

Il caso – Pamela, romana, era fuggita dalla comunità di Corridonia di cui era ospite e si era recata a Macerata per prendere un treno per tornare a Roma, ma avendolo perso era finita in un parchetto in cerca di droga. Prima di Oseghale, aveva incontrato altri due uomini che le avevano dato dei passaggi in auto e che erano stati inizialmente coinvolti nel processo, salvo poi essere scagionati ed essere condannati solo per spaccio. «Pamela», ha detto Ippolita Naso, l’avvocata del padre, «era incapace di autodeterminarsi ed era sotto terapia farmacologica con quattro tipi di farmaci diversi tra cui antipsicotici». Per il sostituto procuratore Barlucchi, la ragazza aveva «usato il suo corpo perché non sapeva che altro fare, era sola, aveva fame, era scappata la mattina, era all’estremo, non sapeva dove andare ed era in astinenza da eroina». Durante il rapporto sessuale con Oseghale, trasformatosi in stupro, sarebbe avvenuta la morte della ragazza, poi lavata, smembrata e nascosta in due trolley rinvenuti qualche giorno dopo a Pollenza, a una decina di kilometri da Macerata.

Il ricorso – «Questa sentenza ci dà sollievo, ma ci sono altri mostri lì fuori», ha detto Alessandra Verni, madre della ragazza, che per tutta la durata del processo ha indossato una maglietta con una foto del corpo fatto a pezzi di sua figlia. Secondo Marco Verni, suo avvocato e fratello, bisognerebbe indagare più a fondo sul ruolo degli altri due uomini che Pamela aveva incontrato: «Oseghale non può aver fatto tutto da solo», ha commentato. Dal canto suo, la difesa del nigeriano ha annunciato il ricorso. L’annullamento dell’aggravante di violenza sessuale, in ogni caso, non certificherebbe uno sconto di pena, visto che la condanna iniziale era di omicidio volontario aggravato dalla condizione di inferiorità psicofisica della vittima, vilipendio e occultamento di cadavere. Oseghale, 33 anni, padre di due bambini di cui uno nato da una donna italiana durante il processo, non era presente in aula.