I desaparecidos italiani © Copyright Redattore Sociale

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Negli anni ’70 si macchiarono di sequestri, omicidi e torture nei regimi militari dell’America del Sud. A partire da oggi, 12 febbraio 2015, un tribunale italiano li processerà. Si tratta di ventuno ex-funzionari e militari che ebbero un ruolo di rilievo nel Piano Condor, la politica di repressione di ogni forma di dissenso politico ordita dalle dittature sudamericane in collaborazione con la CIA. A portarli di fronte alla sbarra a Roma, nell’aula bunker di Rebibbia, 23 delle loro vittime. Erano di doppia cittadinanza: oltre a quella sudamericana avevano anche quella italiana.

I fatti risalgono a quarant’anni fa, tra il 1973 e il 1975. In quegli anni la maggior parte dei Paesi sudamericani era governata da dittature militari sostenute dagli Stati Uniti. La repressione del dissenso politico era feroce: sindacalisti, intellettuali, attivisti e semplici operai di idee socialiste o comuniste erano rapiti, torturati e uccisi ogni giorno. I loro cadaveri fatti sparire. Il caso del Cile di Pinochet è solo il più noto, ma i regimi uccidevano anche in Uruguay, Brasile, Perù, Paraguay e Bolivia. I carnefici dei vari dittatori si associarono per non lasciare scampo agli oppositori che espartiavano. Il tutto con il finanziamento e il beneplacito degli Stati Uniti, che temevano la diffusione dell’influenza comunista in America del Sud.

Tra le vittime, chiamate desaparecidos per l’usanza dei carnefici di farne sparire i cadaveri, anche molti cittadini italiani, emigrati o figli di emigrati. Proprio partendo da uno di loro si è arrivati al processo di oggi. Si tratta dell’italo-argentino Alvaro Daniel Banfi, sequestrato e ucciso nell’autunno del 1974. L’indagine sulla sua morte condotta dal Procuratore Aggiunto Giancarlo Capaldo ha, nel corso di dieci anni, coinvolto oltre 140 persone. Ventuno saranno imputate, di cui undici cileni, tra cui Juan Manuel Contreras, capo dei servizi segreti di Augusto Pinochet. Comparirà al banco dei testimoni anche Isabel Allende Bussi, presidentessa del Senato cileno e figlia del presidente Salvador Allende, morto durante il golpe del generale Pinochet.

Nonostante la crudeltà dei loro crimini (una delle vittime fu fatta esplodere con la dinamite), difficilmente gli imputati vedranno aprirsi le porte del carcere, anche se condannati. Solo uno di loro vive in Italia, l’uruguaiano Jorge Troccoli, residente a Battipaglia. Gli altri sono anziani e risiedono in Paesi da cui ottenere l’estradizione è difficile. Come nel caso dei processi ai criminali di guerra nazisti, si tratterà di un “processo alla Storia”: importante per conservare il ricordo di un periodo oscuro. Ma anche per cercare giustizia di fronte alla memoria collettiva. In questo senso si colloca la soddisfazione espressa dai molti parenti dei desaparecidos arrivati in Italia per il processo. “Rappresenta una seconda occasione per cercare la giustizia che non ho ottenuto nel mio paese” ha detto Maria Paz Venturelli, figlia dell’italo-cileno Omar Venturelli.

Antonio Lusardi