Piera Stretti, responsabile del centro antiviolenza Casa delle donne di Brescia

Piera Stretti, responsabile del centro antiviolenza Casa delle donne di Brescia

«Perchè tutti questi casi di femminicidio? Sono direttamente proporzionali all’aumento della volontà delle donne di vedere rispettato il proprio desiderio di libertà e autonomia». È l’idea di Piera Stretti, responsabile del Centro antiviolenza Casa delle donne di Brescia. Proprio nella città lombarda, la sera del primo febbraio, è stato commesso l’ennesimo femminicidio: il sesto dal 2015. Vittima una donna di 55 anni, uccisa a coltellate dal marito nella propria abitazione, prima che l’uomo imboccasse contromano l’autostrada al casello di Ospitaletto e terminasse la sua folle corsa in uno schianto mortale.

«Brescia ha il triste primato in Italia per il numero di femminicidi: cinque nel 2015 sul totale dei 30 che si sono verificati in tutta la Lombardia», spiega Piera Stretti, che nel 1989 contribuì alla creazione della Casa delle donne per arginare una problematica diffusa. «Da quando abbiamo aperto il nostro centro antiviolenza, abbiamo assistito circa 6 mila donne, di cui 560 solo nel 2015. Ci chiamano per denunciare casi di violenza fisica e/o psicologica e la maggior parte delle vittime sono straniere. Dopo avere raccolto le loro testimonianze – continua Stretti – le indirizziamo verso strutture di protezione ad hoc collocate sul territorio».

Un lavoro che la Casa delle donne porta avanti in un quadro legislativo nazionale di recente introduzione. «Il vuoto normativo è stato colmato con la legge italiana del 2013 contro il femminicidio, che ha introdotto tra le altre cose l’arresto in flagranza obbligatorio per i casi di stalking e maltrattamenti in famiglia. Ma la regione Lombardia è arrivata ancora prima del Parlamento, approvando nel 2012 un pacchetto di norme contro la violenza sulle donne che hanno portato alla creazione di una rete regionale antiviolenza di cui fanno parte i centri come il nostro», racconta Stretti.

Gli uomini del Sud sono più possessivi e violenti? La smentita arriva dal terzo Rapporto Eures sulla violenza contro le donne. Ma sulle statistiche incide il maggiore impatto delle comunità straniere al Nord

Gli uomini del Sud sono più possessivi e violenti? La smentita dal terzo Rapporto Eures

Nell’immaginario collettivo, le violenze domestiche sono più frequenti al Sud che al Nord. Un luogo comune smentito dai fatti, come fotografa il terzo rapporto Eures sulla violenza sulle donne. Nel 2014, il numero dei femminicidi al Sud è diminuito del 42,7 per cento (da 75 a 43) rispetto all’anno precedente, a dispetto di una crescita dell’8,3 per cento al Nord (da 60 a 65) e di un livello costante nel Centro (44 vittime). Dati in un certo senso inaspettati, che Piera Stretti (si) spiega così: «I femminicidi sono più frequenti al Nord perchè lì il contesto socio-antropologico è più complesso. Nelle regioni settentrionali c’è una maggiore spinta all’emancipazione e alla richiesta di pari opportunità da parte delle donne, non solo italiane».

Non a caso, anche se le vittime che si rivolgono alla Casa delle donne per denunciare molestie, stalking, maltrattamenti e violenze sono di tutte le etnie, c’è una componente rilevante di origine straniera (30 per cento). «Sfuggire alla cultura del patriarcato è difficile, per loro ancora di più. È per questo che ci poniamo nei loro confronti come luogo di ascolto e di confronto per risolvere i loro problemi. Anche se lo facciamo tra mille difficoltà, soprattutto di natura economica», racconta Stretti. I centri antiviolenza lombardi attendono da tempo i fondi stanziati dal governo e non ancora sbloccati, essenziali per portare avanti le proprie attività.

«Gran parte del nostro lavoro si fonda sul volontariato. L’organico della Casa delle donne è composto da operatrici che stanno al telefono, avvocate che prestano assistenza legale gratuita e psicologhe: un vero e proprio esercito di “professioniste dell’accoglienza” che svolge a valle una preziosa opera di assistenza. Mentre a monte – chiosa Stretti – dovrebbe intervenire lo Stato, con un piano di educazione nelle scuole per insegnare ai bambini a rispettare le donne e a rifiutare ogni comportamento violento».

Roberto Bordi