«Non ricordo nulla di quello che racconta, perché è falso». Roman Polanski rispedisce al mittente le accuse di stupro arrivate un mese fa da Valentine Monnier. Sul settimanale Paris Match, il regista di Rosemary’s Baby ha rotto il silenzio sulle dichiarazioni della fotografa e attrice francese che ha detto di essere stata violentata da lui 44 anni fa. Le accuse erano arrivate a due giorni dell’uscita nelle sale d’Oltralpe del suo ultimo film, J’accuse (in Italia L’ufficiale e la spia), creando non poco imbarazzo per la produzione e per il regista che è già stato protagonista di una lunga vicenda giudiziaria per violenza sessuale ai danni della modella Samantha Geimer.

L’accusa e la risposta – I fatti raccontati dalla Monnier risalgono al 1975 quando Polanski era già Polanski: il capolavoro del noir Chinatown era uscito nelle sale l’anno prima strappando dieci nomination agli Academy. La modella appena diciottenne era nello chalet del regista a Gstaad, in Svizzera, quando sarebbe stata picchiata e violentata. «È una storia aberrante. Io non picchio le donne» dice oggi il regista franco-polacco durante l’intervista al periodico. «Dopo tanti anni, cercano ancora di farmi passare per un mostro. Ma ormai sono abituato alle calunnie, la mia pelle si è indurita come un carapace». Dice di ricordarsi “a malapena” dell’allora diciottenne ma nega con fermezza ogni accusa. Polanski risponde anche sui testimoni tirati in ballo dalla Monnier. Il regista deplora che l’accusatrice «prenda a testimoni tre miei amici presenti nello chalet: il mio assistente Hercules Bellville, nonché Gérard Brach e la moglie Elizabeth. I primi due sono morti, comodo, così non possono confermare né smentire le dichiarazioni che li vengono attribuite. Quanto alla signora Brach, la stampa non l’ha trovata». Il regista poi rincara la dose: «È facile accusare quando i fatti sono prescritti da una decina d’anni, e quando si ha la garanzia che non ci saranno procedure giudiziarie per discolparmi».

Il precedente e la fuga in Europa – L’autore premiato allo scorso festival di Cannes non è nuovo ad accuse di violenza sessuale. Sono sei le donne che hanno tirato in ballo il regista. Il precedente più celebre è quello di Samantha Geimer, modella di tredici anni e undici mesi che nel 1977 a Los Angeles, accusò Polanski di violenza sessuale. In questo caso Polanski si dichiarò colpevole per il solo capo d’imputazione del rapporto sessuale extramatrimoniale con persona minorenne e il giudice riconobbe che non c’era stata nessuna violenza. Dopo poco più di un mese di carcere, approfittò di un rilascio anticipato per fuggire a Londra e poi a Parigi dove risiede tutt’oggi. Dal 1975 possiede la cittadinanza francese quindi non può essere estradato verso gli Stati Uniti. Per queste accuse venne escluso nel 2018 dall’Accademia degli Oscar. Nell’intervista rilasciata a Paris Match, l’autore franco-polacco si sfoga contro quella che definisce una persecuzione contro la sua famiglia per il caso Geimer. «I miei figli ricevono insulti e minacce sui social network. Ci sono ancora segreti su di me? Sicuramente sono responsabile. Nel 1977, ho commesso un errore e la mia famiglia ne paga il prezzo, quasi mezzo secolo dopo».