C’è chi parla di un ritorno al “delitto d’onore”. Due casi affrontati dai giudici di Genova e Bologna hanno aperto un dibattito sulle attenuanti generiche legate all’emotività in caso di omicidio. Il più recente è l’uccisione di Angela Coello Reyes da parte del marito Javier Napoleon Pareja Gamboa, che nel dicembre 2018 è stato condannato a 16 anni di carcere, mentre il Pm ne aveva chiesti 30. Motivo dello sconto di pena il fatto che l’uomo avesse agito «come reazione al comportamento della donna, del tutto contraddittorio che lo ha illuso e disilluso allo stesso tempo». Stessa condanna e motivazioni simili per Michele Castaldo, reo confesso che nel 2016 uccise l’ex moglie Olga Matei in preda a una «soverchiante tempesta emotiva e passionale». I due episodi, che nulla hanno a che fare con il delitto d’onore abolito nel 1981, hanno in comune un grosso alleggerimento della pena giustificato, tra le varie cose, dal fatto che il responsabile non fosse lucido al momento del delitto a causa di un forte turbamento emotivo. Lo strumento giuridico nelle mani del giudice in casi come questo sono le attenuanti generiche, o meglio, le circostanze attenuanti generiche. Il loro effetto è l’applicazione di una pena più bassa oppure di una pena di specie diversa ma meno grave.

Circostanze attenuanti – Perché si chiamano “generiche”? Per distinguerle dalle attenuanti comuni, quelle elencate dall’art. 62 del Codice Penale. L’articolo ne elenca alcune, ad esempio «l’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale». Se però non si possono applicare le attenuanti comuni, ma ci sono comunque ragioni per concedere uno sconto di pena, il giudice ha una carta in più da giocare: le attenuanti generiche, previste dall’art. 62 bis. Articolo volutamente formulato in modo generico, che lascia al giudice la possibilità di prendere in considerazione altre circostanze «qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena». Ed è qui il nodo della questione. Quando ha scritto il Codice Penale, il legislatore ha lasciato un margine di scelta al giudice per tutti quei casi in cui, nonostante la legge non lo abbia previsto, c’è un motivo per cui quel caso non può essere trattato come gli altri. Un motivo per cui, se si tratta ad esempio di omicidio volontario, la vittima è stata uccisa in circostanze che, pur non giustificando l’assassino, riducono la gravità del suo comportamento.

Circostanze aggravanti – Ad “aumentare” invece la gravità del comportamento e quindi l’entità della pena ci pensano le circostanze aggravanti. Sono tutte all’art. 61 del Codice Penale, non ne esistono di generiche. Si va dall’aver commesso il delitto per «motivi abietti o futili» all’avere agito «con crudeltà verso le persone». Alle aggravanti elencate nell’articolo si aggiungono poi quelle cosiddette “specifiche”, cioè previste dalla legge per uno specifico reato. Per l’omicidio volontario, ad esempio, l’art. 576 prevede alcuni casi particolarmente gravi come la premeditazione verso un «ascendente» o un «discendente» (in pratica un parente stretto). Che si tratti di circostanze aggravanti o attenuanti è bene contestualizzare la loro applicazione tenendo a mente il fatto che la pena decisa dal giudice è sempre il risultato di una sottrazione o addizione delle circostanze rispetto alla pena che si applicherebbe in assenza delle circostanze stesse.