Aumentano i calcinacci, come se il posto fosse un cantiere. Invece è l’antica città romana di Pompei. Dopo un altro crollo – il terzo in tre giorni – e il «Fate presto!» dell’Unesco, martedì 4 marzo è in calendario un vertice al ministero dei Beni culturali. Servirà ad affrontare un’emergenza che, a dispetto della parola, dura da anni. Almeno da quando Sandro Bondi era ministro e alcuni ambienti finirono, in parte, in macerie. Era il 2010.
L’ultimo a venire giù, lunedì 3 marzo, è stato un muro alto due metri in un’area non scavata di via Nola. Però, mentre sull’Italia piove, è Pompei a rischiare il crollo, perché i terreni non riescono più a filtrare bene l’acqua. «L’unica cosa da fare è un intervento straordinario, ma su tutta l’area, non solo dal punto di vista archeologico ma anche idrogeologico, questo è il vero nodo», ha spiegato il presidente della commissionale nazionale per l’Unesco Giovanni Puglisi.
È stato quindi convocato per martedì 4 marzo 2014 un vertice al ministero dei Beni culturali, in cui la Soprintendenza farà rapporto sulla manutenzione del sito. Al centro, la domanda: a che punto è il “Grande Progetto Pompei”? Era stato lanciato nel 2011, mettendo sul piatto 105 milioni di euro. Tre anni più tardi, ha denunciato sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella, ne sarebbero stati spesi appena 588 mila, un centosettantottesimo. Sarebbero invece quaranta milioni quelli non spesi, ma impegnati per i vari progetti, ha spiegato il direttore generale per le antichità Luigi Malnati. Che dai microfoni di Radio 1 ha ammesso che si tratta comunque di «un risultato inferiore alle aspettative: la burocrazia esegue normative farraginose, sia nel campo dei beni culturali che nel campo degli appalti pubblici». Malnati ha però rassicurato: «I crolli di cui si parla, che non voglio minimizzare, sono fisiologici. L’unico di un certo rilievo è quello alla Schola Armaturarum». Quello che ha portato all’approvazione del “Grande Progetto” che, tre anni dopo, aspetta ancora di essere completato.
Giuliana Gambuzza