Rischio crollo declassato. Finiscono nel vortice dell’inchiesta di Repubblica sul Ponte Morandi i vertici del ministero delle Infrastrutture del 2015, insieme a quelli di Autostrade per l’Italia (Aspi) e Atlantia (capogruppo di Autostrade per l’Italia). Secondo i documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza – citati dal quotidiano – alle sedute del consiglio di amministrazione di Aspi partecipava anche un rappresentante del ministero, che avrebbe condiviso «l’indirizzo di rischio basso» per il viadotto genovese, poi crollato il 14 agosto 2018: i documenti farebbero emergere come i report sulle condizioni del Ponte venissero puntualmente ritoccati per rinviare gli interventi strutturali necessari.

L’indiscrezione Tra le carte sequestrate nel marzo 2019 dalla Guardia di Finanza, su ordine della Procura di Genova, nelle sedi di Aspi e di Atlantia ci sarebbero documenti di programmazione del rischio che dal 2014 al 2016 indicavano il Ponte Morandi «a rischio di crollo». Proprio in queste carte si legge anche la preoccupazione degli ingegneri sul fatto che «l’opera non si riesce a tenere sotto controllo», considerata l’impossibilità di monitorare stralli e cassoni del viadotto. Il documento sul rischio crollo fu presentato nel 2015 insieme al progetto di consolidamento delle pile 9 e 10. Dal 2017 però qualcosa cambiò. In primis, la responsabilità sul Ponte Morandi passò dalle Manutenzioni dirette da Michele Donferri Mitelli alla Direzione di tronco di Genova guidata da Stefano Marigliani (entrambi indagati). Ma soprattutto il rischio fu declassato come «perdita di stabilità»: durante gli interrogatori, alle richieste degli inquirenti su questo cambiamento, Donferri Mitelli e Marigliani si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Il ruolo del Mit – Fino a questo punto delle indagini l’interesse è sempre stato quello di fissare le responsabilità di Aspi e della sua capogruppo sugli eventi che hanno portato al crollo. L’esistenza di una parte ministeriale nel consiglio di amministrazione apre ora nuovi scenari. Tra i 73 indagati ci sono anche dipendenti del Mit: questi avrebbero avuto a che fare con il progetto di rinforzo degli stralli del Morandi solo nell’ultima fase, quella in cui sono stati ipotizzati ritardi inspiegabili nell’approvazione del progetto da parte del Comitato tecnico amministrativo del Mit (organo locale) e della direzione generale di vigilanza sulle concessioni autostradali (Dgvca). L’esame delle carte del cda mira adesso ad accertare il coinvolgimento del ministero, con la possibilità che altre persone entrino nel vortice dell’inchiesta.

La nota Aspi – A seguito dell’inchiesta di Repubblica, la concessionaria non ha smentito l’esistenza del rapporto, ma ha sostenuto che il rischio fosse solo teorico. «La società non è in alcun modo disponibile ad accettare rischi operativi sulle infrastrutture. Di conseguenza, l’indirizzo del cda alle strutture operative è di presidiare e gestire sempre tale tipologia di rischio con il massimo rigore, adottando ogni opportuna cautela preventiva», si legge nella nota pubblicata. «Per quanto riguarda l’area dei rischi operativi, nella quale rientrava anche la scheda del Morandi, il cda di Autostrade ha sempre espresso l’indirizzo di mantenere la propensione di rischio al livello più basso possibile». Questa replica non ha evitato però il crollo in Borsa di Atlantia, che mercoledì 20 novembre ha chiuso la giornata di contrattazioni con un pesante -2 per cento.