Mimmo Lucano in carcere per 10 anni e 5 mesi. È questa la richiesta avanzata in appello dai sostituti procuratori generali Adriano Finiani e Antonio Giuttari per l’ex sindaco di Riace, convinti che le sue politiche d’accoglienza dei migranti sottendessero una più profonda associazione delinquenziale ai danni dello Stato.

L’accusa – In particolare, la procura generale è convinta che Lucano abbia costruito un sistema di illecita gestione del denaro pubblico finalizzato a commettere «un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace». Da qui la richiesta di condanna, che risulta leggermente più lieve rispetto alla sentenza di primo grado dal momento che, come raccontato dal cronista del fattoquotidiano.it Lucio Musolino, è stata riconosciuta l’unificazione di tutti reati con il vincolo della continuazione.

Fonte: Ansa

La difesa – Al termine dell’udienza, gli avvocati di Mimmo Lucano, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, hanno poi commentato le parole dei sostituti pg, definendo la requisitoria «serena e pacata», ed esprimendo fiducia sull’esito finale del processo.

Per il momento, per il loro assistito rimane la condanna in primo grado a 13 anni e due mesi per «associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa, peculato e abuso d’ufficio» in seguito all’inchiesta avviata dalla procura di Locri che aveva portato al suo arresto il 2 ottobre 2018.

Il sistema d’accoglienza – Ciò che venne già allora contestato erano le politiche migratorie messe in atto durante la sua sindacatura, ossia quel «modello Riace» finalizzato ad accogliere chi arriva in Italia e combattere il crescente spopolamento del comune concedendo in comodato d’uso le case abbandonate ai richiedenti asilo e vigilando che «i soldi dei progetti di accoglienza erogati al comune dal governo venissero usati per borse lavoro e per attività commerciali gestite dagli stessi richiedenti asilo insieme ai locali».