Un colpo netto. Poco sopra il cuore, inferto con la mano destra ed estratto con la sinistra (che resta pulita) e trattiene l’arma del delitto, un coltello da cucina lungo 19 centimetri. «Le ferite sono più compatibili con un attacco frontale che con l’ipotesi suicidiaria», dice Alberto Bogoni. Lui è solo uno dei consulenti ascoltati al Palazzo di giustizia di Milano nell’udienza di martedì 30 maggio. Cinque in totale: tre delle persone offese, tra cui Bogoni, e due per la difesa in un confronto medico legale che ha lasciato spazio a qualsiasi ipotesi verosimile.

La dinamica – Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, Alfredo Capelletti si sarebbe pugnalato con la mano destra la parte alta del torace sinistro, alcuni centimetri sopra il cuore. Si sarebbe procurato una ferita di 23 centimetri, quattro in più rispetto alla lunghezza del coltello, con una mano che portava ancora i segni dell’ischemia cerebrale avuta il mese precedente la morte (13 settembre 1998).

Una dinamica che richiede forza e fermezza. Ma chi si suicida esita e prova prima di colpirsi per dosare l’energia, sottolinea Roberto Testi, consulente delle persone offese (la famiglia Capelletti): «Il suicidio con arma da taglio è usuale, ma quasi sempre ci sono prima delle lesioni di prova per capire quanta forza da imprimere al coltello per lacerare gabbia  toracica. I primi strati, cute e sottocute, sono quelli che più si oppongono a perforazioni da armi bianche. Dopodiché il coltello scende in profondità. Si può parlare di svirgolatura del coltello entrato con una notevole inclinazione per rettilineizzarsi e poi andare in direzione opposta». La ferita sarebbe quindi poco compatibile con un suicidio, quando di solito la ferita inferta presenta esitazioni (ferite minori) e una rettilinea, perpendicolare al corpo e non tangenziale come quella della vittima.

I punti oscuri – Oltre all’inclinazione della ferita, ci sarebbe un altro punto difficile da spiegare: la vittima presentava un taglio nel palmo della mano destra, vicino al pollice. «La mano può scivolare sulla lama, ma la ferita sarebbe centrale e non laterale. Si può parlare di istinto e non di difesa, è un taglio compatibile con chi avvicina la mano per il dolore», sottolinea Testi.

In aula vengono analizzate anche le tracce di sangue riscontrate sul luogo del delitto, in particolare quelle sul calorifero dello studio. «E’ un pattern da distribuzione di forza centrifuga», aggiunge il generale Luciano Garofano «Non è possibile che provenissero dalla ferita, è stato il coltello sfilato con energia a creare questo tipo di tracce. Cappelletti da solo non avrebbe potuto fare un gesto così ampio».

Ipotesi che Antonio Farneti, consulente della difesa, non condivide. Ma lascia intendere che non si esclude né il suicidio né l’omicidio: «La lama ha lavorato internamente così in profondità perché si è mossa la persona e ciò è compatibile con entrambe le ipotesi».