«Varie cose non mi tornavano. A partire dagli spostamenti dell’imputato. Diceva di essere altrove, ma le celle telefoniche lo registravano a poche centinaia di metri dalla vittima», a parlare nell’udienza del 18 maggio è l’ispettore Antonio Scorpaniti, che all’epoca dell’omicidio-suicidio (13/09/1998) si occupò delle indagini. «I punti che non mi convincevano in particolare erano due: una chiamata al centralino e gli spostamenti che non coincidevano con quelli rilevati dalle celle telefoniche».
I tabulati e le celle telefoniche – Non parla volentieri l’ispettore Scorpaniti e a stento accetta le riprese in tribunale. Ma, tra i tanti punti oscuri, ne ha uno fermo: le dichiarazioni dell’imputato, Alessandro Cozzi, non l’hanno mai convinto. «Non eravamo convinti dell’ipotesi suicidaria. Con l’ictus ci sembrava improbabile potesse far penetrare un coltello di quelle dimensioni e poi estrarlo», spiega Scorpaniti. E prosegue cercando di spiegare quello che, quasi vent’anni fa, lo colpì di più: «Nel tardo pomeriggio Cozzi chiamò in azienda, ma non ai telefoni diretti dell’ufficio. Bensì al centralino. Quel sistema permette di rimanere in attesa per vari minuti. Anche se non si parla direttamente con nessuno. I tabulati hanno confermato una durata eccessiva. Non riuscimmo a spiegarci il motivo».
A Scorpaniti non è chiaro il messaggio di Cozzi che avvisava la vittima, Alfredo Capelletti,che l’avrebbe chiamato. Eppure il messaggio arriva a chiamata già effettuata. Ma ce n’è una seconda da approfondire secondo l’ispettore: quella in cui Cozzi chiedeva a Elisabetta, figlia di Alfredo, se voleva un passaggio per andare in azienda. «Come se sapesse quanto era accaduto». In più, quella telefonata fatta da casa, a detta dell’imputato, aveva agganciato la cella telefonica di viale Maino. Una strada a poche centinaia di metri da via Malpighi, dove aveva sede l’Innova Skills, luogo del delitto e società di Capelletti. E specifica Scorpaniti: «La famiglia abitava in viale Corsica. Ma quando lui si propone di portare la figlia di Cappelletti in azienda era in prossimità dell’ufficio».
Il carattere – Tra i testimoni ascoltati per cercare di delineare lo stato d’animo di Capelletti in quei giorni c’era anche Giuseppe Mainolfi, amico e parrucchiere della vittima. L’uomo ricorda: «Era stanco ma sereno. Non penso a un suicidio. Per sbaglio lo tagliai leggermente e sbiancò. Mi confessò di temere la vista del sangue». Il carattere allegro viene ricordato anche da Rita Zecchel, amica di Cozzi e cliente dell’azienda di Capelletti che proprio l’imputato portò a Innova Skills. Un rapporto ancora da chiarire a causa di fatture che sembra fossero intestate a un conto risalente alla società della signora Cozzi, la People Improvement sas, ma per prestazioni fatte dalla Innova.