Familiari delle vittime durante il processo Eternit bis (Fonte: Ansa/Alessandro Di Marco)

L’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny è stato condannato a 12 anni di reclusione per omicidio colposo aggravato: la Corte d’Assise di Novara lo ha ritenuto colpevole della morte di 392 persone esposte all’amianto lavorato nell’azienda Eternit di Casale Monferrato, nel piemontese. L’aggravante è dovuta ai motivi abietti: il movente del profitto e il mezzo insidioso (l’amianto). Schmidheiny è stato condannato anche alla pena accessoria di 5 anni di interdizione ai pubblici uffici e dovrà risarcire in totale 86 milioni di euro. Al Comune di Casale 50 milioni di euro, allo Stato italiano 30 milioni e all’associazione delle vittime 500 mila. La sentenza, emessa mercoledì 7 giugno dopo oltre sei ore di camera di consiglio, ha comunque inflitto all’imprenditore una condanna inferiore a quanto richiesto dai pubblici ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare, che volevano l’ergastolo.

Le reazioni – «Soddisfazione parziale» è quella espressa dal sindaco di Casale Monferrato, Federico Riboldi. Sebbene contento del riconoscimento della colpevolezza di Schmidheiny, il primo cittadino ha ricordato che ancora oggi il suo paese «continua a soffrire a causa delle azioni commesse da chi ha anche avuto la responsabilità di fuggire da Casale abbandonando uno stabilimento che era una vera e propria bomba nociva per la salute». Anche Legambiente ha sottolineato le conseguenze che ancora oggi pagano gli abitanti: «La sentenza restituisce un rinnovato senso di giustizia dal quale ripartire con maggior serenità per completare il percorso di bonifica e cura di un territorio che ancora sta facendo i conti con gli effetti nefasti dell’inquinamento da amianto e dove ogni anno ancora si ammalano oltre 50 persone».

Il processo – La sentenza Eternit bis arriva a due anni dalla prima udienza del 9 giugno 2021, ma l’inizio della trafila giudiziaria risale a quasi vent’anni fa. Le indagini, iniziate nel 2004, avevano portato all’apertura di un processo nel 2009 nei confronti dei proprietari dell’azienda Stephan Schmidheiny e Louis de Cartier. Nel 2012 i due erano stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro ambientale e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. In secondo grado (2013) gli anni di carcere erano saliti a 18 per Schmidheiny, mentre de Cartier era morto nel frattempo. Nel 2014 la condanna è stata annullata in Cassazione per prescrizione maturata anteriormente alla sentenza di primo grado. L’intervento della Suprema Corte ha portato alla riformulazione dei capi d’accusa, che dal disastro ambientale si sono spostati sull’omicidio colposo. Il procedimento Eternit bis è stato incardinato dalla procura di Torino e successivamente “spacchettato” tra Torino (competente per le due vittime di Cavagnolo), Napoli (otto morti a Bagnoli), Reggio Emilia (due vittime a Rubiera) e Vercelli (392 morti nel Monferrato). In secondo grado la competenza del processo di Vercelli è poi passata alla Corte d’Assise di Novara. Già prima della sentenza del 7 giugno, Schmidheiny era stato condannato a tre anni e mezzo a Napoli e a un anno e otto mesi a Torino.