Dimenticate le gite fuoriporta nel weekend, l’immancabile reality tv del martedì sera, la messa della domenica. Se sei parte della famiglia Leoni, le tradizioni contano ma potrebbero essere un po’ diverse dal solito. Se sei un Leoni, l’usanza da trasmettere è donare il sangue.

Lo sa bene Giuseppe Leoni quando negli anni ’90, durante il periodo di leva militare, convinse l’ufficiale medico della caserma a far entrare nell’edifico una postazione mobile dell’Avis per donare e spinse una ventina dei suoi commilitoni a farlo insieme a lui. Un’azione su cui ha inciso l’esempio del nonno, suo omonimo, nonché il primo nell’albero genealogico a ottenere il libretto da donatore. Con i primi prelievi risalenti già al Dopoguerra e la continua dedizione alla causa, i suoi parenti ancora ricordano il rammarico quando si fermò a 49 prelievi per via del limite di età di 65 anni. Uno in più e avrebbe ricevuto una medaglia di riconoscimento. Da lì, a seguire le sue orme sono stati i figli Antonio e Severina, i nipoti Nicoletta, AlessandroBeniamino, Francesca e – appunto – Giuseppe e, infine, l’ultima generazione formata, almeno per ora, da Simone. Tutti donatori, tutti con lo stesso ideale in testa, quello di poter aiutare gli altri e che, in caso di bisogno, la generosità possa tornare indietro.

I donatori della famiglia Leoni

«Ho sempre ammirato l’idea di poter fare una buona azione per il prossimo», ha raccontato Francesca Leoni, sorella di Giuseppe. «Essere donatore ti tutela e ti fa stare bene». Francesca ha cominciato a donare nel 1984, all’età di 18 anni. Nel 2019 è stata costretta a smettere per problemi di salute, fermandosi a quota 101 donazioni. Al centro trasfusionale dell’ospedale di Treviglio – comune in provincia di Bergamo – ormai la conoscono tutti. E da quando è riuscita a convincere anche suo marito Roberto a sostenere la causa, è diventata per molti un esempio da seguire. «Ho sempre cercato di persuadere chi sta intorno a me a diventare donatore ma sensibilizzare non è facile. Bisognerebbe educare i giovani fin da piccoli», ha continuato Francesca. «Non c’è nulla di doloroso nel prelievo e se proprio si ha paura dell’ago o del sangue, basta guardare dall’altra parte. Senza contare che gli esami di routine pre e post donazione sono una garanzia nella prevenzione di eventuali malattie». Secondo l’associazione “Amici del Policlinico”, infatti, nel 2022 ci sono state 11mila prestazioni medico-specialistiche aggiuntive per valutare eventuali fattori di rischio o problematiche di salute dei donatori. Mentre gli ultimi dati a disposizione del Centro Nazionale Sangue dimostrano che nel 2022 quasi un donatore su mille ha scoperto di avere un virus dell’epatite C, proprio grazie alle analisi prima del prelievo. Per l’epatite B il valore è leggermente più alto (circa 2 pazienti su mille).

Di madre in figlio – Francesca non ha quasi mai mancato un appuntamento in oltre tre decenni e ora, che non può più continuare, è suo figlio Simone a portare avanti la tradizione. Classe 1995, ha già terminato 23 prelievi, diventando a tutti gli effetti un esperto donatore. Mangiare leggero la sera prima, sdraiarsi sulla brandina, attendere mentre la sacca viene riempita, magari chiacchierando con il personale sanitario o il “vicino di letto” e consumare una buona colazione al termine della donazione. Simone ormai conosce a memoria la procedura da seguire e tra i suoi desideri futuri c’è quello di insegnarla anche ai suoi figli. «Mi piacerebbe che dopo di me ci fosse qualcun altro a portare avanti la tradizione», ha spiegato Simone. «Ma bisogna capire che l’usanza in sé non è tutto, ciò che conta è essere disposti ad aiutare gli altri e spero che i miei figli vogliano assumersi questa responsabilità».
Se fai parte della famiglia Leoni, allora vuol dire che i tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi fratelli e sorelle hanno donato più di 500 volte. Se sei un Leoni, potresti aver salvato centinaia di vite senza nemmeno saperlo.