Era la sera del 22 giugno del 1983 quando scomparve Emanuela Orlandi, nei pressi della fermata dell’autobus in Corso Rinascimento. Una ragazza appena quindicenne, figlia di un dipendente del Vaticano. Sono passati quarant’anni, durante i quali sono state vagliate molte piste, e altrettante teorie. Nessuna di queste ad oggi ha portato alla verità. La famiglia ha lanciato un appello al Pontefice perché ricordi Emanuela durante l’Angelus di questa domenica. Tramite il legale ha chiesto anche alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni di «contribuire alla ricerca della verità».
Le piste – In un primo momento, il presunto rapimento sembrò da collegarsi all’attentato a papa Giovanni Paolo II del maggio 1981 (la cosiddetta pista dei lupi grigi). Più tardi si parlò di un regolamento di conti della Banda della Magliana con alcuni funzionari vaticani. Un’altra pista la definì la vittima di una guerra di potere in Vaticano. In questi ultimi mesi sono stati aperti due nuovi fascicoli d’indagine per fare luce sulla storia di Emanuela: uno dalla Procura di Roma e uno, per la prima volta, dalla Procura vaticana. Una nota diffusa dall’ufficio del Promotore di giustizia dello Stato Vaticano, in occasione dei quarant’anni dalla scomparsa, ha spiegato di aver «proceduto all’esame del materiale, confermando alcune piste di indagine meritevoli di ulteriore approfondimento e trasmettendo tutta la relativa documentazione». Si attende invece ancora il via libera definitivo del Parlamento alla commissione bilaterale d’inchiesta che vorrebbe far luce, una volta e per tutto, su un caso tra i più controversi della storia moderna del nostro Paese.
La pista dei lupi grigi – Durante l’angelus del 3 luglio 1983 l’allora Papa Giovanni Paolo II fece un appello per la liberazione di Emanuela Orlandi. A molti sembrò che il Pontefice fosse l’unico ad avere la certezza che Emanuela fosse stata rapita e si palesò, per la prima volta, l’ipotesi del sequestro. «Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso». Dopo le parole del Papa, a casa Orlandi iniziarono ad arrivare le chiamate di quello che poi venne definito, per via dell’accento, “l’americano”: venne tirato in ballo Mehmet Ali Agca, l’attentatore del Papa, chiedendo un intervento del pontefice per la sua liberazione in cambio di quella di Emanuela. Iniziò a prendere piede l’ipotesi Emanuela Orlandi fosse stata rapita da alcuni esponenti dei Lupi Grigi, organizzazione terroristica turca di stampo neofascista, a cui Agca era affiliato. L’americano durante una telefonata fece ascoltare ai genitori una registrazione di una ragazza con un accento romano. Altre chiamate, più o meno con le stesse modalità, arrivarono a persone vicine alla famiglia Orlandi. Poi un messaggio per la liberazione di Ali Agca firmato dal Fronte Liberazione Turco Anticristiano Turkesh venne fatto arrivare a Milano. La pista durò due anni senza portare a nessun risultato.
La banda della Magliana – Era l’11 luglio 2005 quando alla redazione del programma Chi l’ha visto? arrivò una telefonata anonima. All’altro capo del telefono l’interlocutore diceva che per risolvere il caso sulla sparizione di Emanuela Orlandi bisognava andare a visitare una tomba nella basilica di Sant’Apollinare. Si scoprì che la tomba era di Enrico De Pedis, detto Renatino, uno dei capi della Banda della Magliana. Secondo lo stesso interlocutore bisognava fare luce sul «favore che Renatino fece al cardinal Poletti», che autorizzò la sepoltura in chiesa. Un anno dopo il programma raccolse anche la testimonianza di Sabrina Minardi (che era stata l’amante di De Pedis tra la primavera del 1982 e il novembre del 1984): Minardi confermò che era stato proprio lui a rapire Emanuela con una BMW. Al rapimento, poi, si sarebbero susseguiti una serie di trasferimenti. Secondo la Minardi, il sequestro era stato eseguito da De Pedis su ordine di Monsignor Paul Marcinkus, allora presidente dello Ior (Istituto per le opere di religione) per una serie di «giochi di potere» allora in opera tra le gerarchie vaticane. A confermare parte di queste dichiarazioni ci sarebbero anche alcuni pentiti della Banda: Mancini e Abbatino. Bisogna sottolineare che nel corso delle indagini la credibilità di Sabrina Minardi è stata più volte messa in discussione per via della natura contraddittoria e confusionaria delle dichiarazioni.
Scandalo dello IOR – Per diversi anni il caso di Emanuela Orlandi è stato collegato anche al crac del Banco Ambrosiano. Secondo le ipotesi del giudice Rosario Priore il sequestro, o la sparizione, sarebbe stato un tentativo di ricatto della Banda della Magliana nei confronti del Vaticano. Lo IOR faceva fa tramite tra la Santa Sede e il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, che aveva come principale attività quella di riciclaggio di denaro sporco da attività illecite della criminalità organizzata. Secondo le indagini di Priore attraverso lo IOR di Marcinkus, la Santa Sede aveva preso in prestito una ingente somma di denaro dal Banco Ambrosiano per finanziare le attività del partito Solidarnosc in Polonia, patria dell’allora Papa, per contrastare il comunismo dell’Unione Sovietica. Quando nell’82 il Banco Ambrosiano fallì e lo stesso Roberto Calvi fu ritrovato morto a Londra pochi mesi dopo, forse suicida, la Banda della Magliana per riavere i suoi soldi organizzò il rapimento di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, con l’obiettivo di fare pressioni sul Vaticano e sullo IOR. Secondo altre ipotesi degli inquirenti, la somma era in realtà della ‘Ndrangheta, che avrebbe usato la Banda della Magliana come tramite per effettuare il ricatto.